ROBERTA DI DONATO
1° Classificato
13 settembre 1899
Una lacrima rigò il viso di
quel povero giovane, mentre lui e la sua famiglia guardavano i treni
sferragliare rumorosamente sulle rotaie, tanto da rompere i timpani.
Sua moglie guardava i loro bambini piangere, mentre pensava al
futuro, cercando di essere positiva e rimembrando nella sua mente
tutti i momenti più belli e significativi passati con il marito, ora
costretto ad abbandonare la sua terra spinto dalla povertà che da
tempo assaliva la famiglia Liguori. Cesare, di soli 5 anni, non
riusciva a capire bene cosa stesse succedendo in quel momento, però
sapeva che il padre sarebbe tornato molto presto, o almeno così
affermava la mamma. Invece Renzo, di 13, era più consapevole e le
sue lacrime scorrevano veloci sul volto mentre gli occhi si
arrossavano sempre di più.
In quel ventoso giorno di
settembre del 1899 molte famiglie si ritrovarono costrette a partire
per gli Stati Uniti, in cerca di fortuna e di una vita più
dignitosa. Insieme a loro, il treno avrebbe trasportato Attilio fino
alla nave su cui avrebbe viaggiato, consapevole di star lasciando la
sua famiglia e la sua terra, il Cilento, da sempre amata. Salutò sua
moglie Bianca, che non aveva neanche il coraggio di guardarlo senza
crollare, e i suoi adorati figli. Cesare chiese quando sarebbe
tornato e lui rispose che si trattava solo di un viaggio per
esplorare nuove terre, rassicurando così il povero bambino che si
rilassò, pensando a quanto sarebbe stato bello per il padre vedere
cose nuove e conoscere tante persone diverse. Renzo era positivo, in
cuor suo sapeva che sarebbe tornato, e nell'attesa si sarebbe
intrattenuto con le lettere che Attilio aveva promesso di spedire
spesso ai figli, per raccontare la sua vita negli Stati Uniti.
Il conducente annunciò la
partenza del treno e l'uomo, sconsolato, iniziò ad incamminarsi
verso il suo vagone. Prima di entrare si girò e diede uno sguardo
alla sua famiglia, promettendo a se stesso che l’avrebbe rivista.
Salì sul vagone e prese un posto vicino al finestrino così da poter
guardare i suoi familiari, sperando che non fosse l'ultima volta.
Bianca si asciugava le lacrime con un fazzoletto, disperata, mentre
Cesare lo salutava con la mano e Renzo lo fissava con gli occhi della
speranza. Poi il treno partì.
Attilio ripensò alla sua
terra, dove era nato, e alle sensazioni profonde che gli aveva dato
vivere in quel posto così leggiadro e sorprendentemente spensierato,
nonostante la miseria e la povertà che incombevano su di lui.
Ripensò a quando la mattina si svegliava e apriva le finestre della
sua piccola casa, godendo del panorama sul mare che nel tempo libero
si dilettava a dipingere. Ripensò a quando durante la primavera
l'odore dei fiori era talmente intenso da ripulire ogni traccia di
dolore perturbante nei suoi pensieri, e al cinguettio delle rondini
sempre presenti. E a quando, durante l'autunno, vedeva le foglie
cadere leggiadre dagli alberi sfiorando il suolo. Pensò che tutte
queste emozioni e la sua famiglia gli sarebbero mancate, però allo
stesso tempo lo consolava la speranza di trovar fortuna. E così, con
questi pensieri che scorrevano nella sua mente, si ritrovò sulla
nave che lo avrebbe portato in un posto dove non era mai stato, con
persone che non aveva mai visto, cose che i suoi occhi non avevano
mai potuto osservare prima d'ora.
Arrivato negli Stati Uniti
Attilio era spaesato e non sapeva dove andare. Capitò però una cosa
che lo sbalordì e che lo fece rilassare: un uomo, appena sceso dalla
nave, gli chiese se anche lui era andato lì per cercare lavoro. Il
giovane sperò subito nella nascita di un'amicizia, così da non
dover affrontare da solo la nuova avventura. E allora rispose di sì
e l'altro uomo (chiamato Giulio) gli sorrise innocentemente, forse
contento anche lui per gli stessi motivi di Attilio. Fu così che i
due iniziarono a girovagare per la terra sconosciuta portando sempre
dentro di loro la speranza, che in quel momento sembrava l'unica
risorsa. Dormirono sotto un ponte, con il freddo che minacciava di
congelarli e il vento che soffiava forte sulle loro teste, mentre
l'unica cosa che li copriva era una coperta trovata per pura fortuna
al centro di una via. Il giorno seguente, ancora scossi da quel
freddo della sera prima Giulio e Attilio si misero in cammino molto
presto, con l'intento ti trovar fortuna. Ma nulla, quella giornata
era stata completamente sprecata perché nessuna fabbrica aveva
bisogno di dipendenti e nessuno sembrava interessarsi alle loro
proposte. La speranza stava per abbandonarli quando, ad un certo
punto, una signora che abitava in città li vide e, provando pietà
per i due, si offrì di ospitarli nella sua dimora in attesa di
trovare un lavoro. Questo gesto fece sentire meglio Attilio,
distrutto da tutte quelle porte chiuse in faccia, e quando la sera si
mise nel letto iniziò a riflettere su tutto quello che gli stava
capitando: pensò alla sua famiglia, chissà cosa stavano facendo in
quel momento sua moglie e i suoi amati figli... avrebbe tanto voluto
essere lì con loro; magari raccontando una storia al piccolo Cesare
per farlo addormentare, come aveva sempre fatto, e dando un bacio
della buonanotte a Renzo e a Bianca, la sua amata moglie. Pensò che
l'indomani gli avrebbe spedito una lettera e nel frattempo si
addormentò.
Passò una settimana e lui e
Giulio, come ogni singolo giorno, si misero in cammino; ancora una
volta non trovarono una buona accoglienza, nessuno ascoltava o
prendeva in considerazione le loro proposte, finché non scorsero
un'altra fabbrica poco distante. Decisero di andarci e, con loro
grande sorpresa ed emozione, lì accettarono di prenderli al lavoro.
Felice come non mai Attilio corse a casa per scrivere una lettera
alla sua famiglia, informandola della gioiosa notizia e chiedendo di
raggiungerlo negli Stati Uniti. La felicità di quel momento non si
poteva descrivere, Attilio era completamente senza parole. Finalmente
avrebbe portato avanti la sua famiglia egregiamente e senza tutti i
problemi economici che c'erano stati fino a quel momento. Lui voleva
solo il bene per i suoi figli e sua moglie: farli vivere in pace e
serenità era l'unica cosa che desiderava. Questo bene era così
forte ed intenso che purtroppo vinceva anche la voglia di tornare nel
suo paese, il Cilento. Attilio sapeva bene che a quel punto non
sarebbe più tornato nella sua terra e, nella felicità, si ritagliò
anche un momento per ricordare tutto quello che aveva abbandonato. Le
sue lacrime per il luogo in cui aveva vissuto lo accompagnarono, suo
malgrado, per tutta la vita.
22 febbraio 2017
Benjamin stava guardando
pensieroso fuori dalla finestra, quel post su Facebook di una sua zia
italiana lo stava facendo riflettere. Era riuscito a scoprire la
storia dei suoi lontani antenati che dall’Italia erano stati
costretti ad emigrare lì dove si trovava ora, la maestosa New York.
Aveva il desiderio di scoprire la bellezza della terra dei suoi
predecessori, anche perché era un ragazzo che aveva sempre amato
viaggiare per il mondo. Andò nella camera di suo fratello Alexander
e gli chiese di accompagnarlo in questa sua avventura; lui accettò
volentieri e i due giovani, Benjamin di 24 anni e Alexander di poco
più, con la voglia di far nuove esperienze, prenotarono online un
viaggio per andare nel Cilento, splendido luogo che non avevano mai
visitato. Benjamin si organizzò con la loro lontana zia, che decise
di ospitarli con innato entusiasmo. Presero l'aereo una settimana
dopo e atterrarono dopo otto ore di volo; un viaggio che per
qualsiasi altra persona sarebbe stato pesante, ma che a quei due
giovani, con la voglia di disseppellire un pezzo della loro storia,
sembrava essere durato solo un’ora.
Arrivati nel Cilento rimasero
affascinati dalla natura incontaminata del luogo e dalla sua
bellissima semplicità. Benjamin si guardava intorno con stupore,
tutto quello che c'era in quel bellissimo posto lo faceva rimanere ad
occhi aperti, rilassando i suoi muscoli e le sue membra provati dalla
frenesia della città. Arrivato a casa degli zii scoprì che i cugini
stavano per partire e che, come gli spiegarono, sarebbero andati
negli Stati Uniti per completare gli studi e cercare lavoro. Colpiti
i due ragazzi pensarono che quell'avvenimento sembrava un ripetersi
della storia dei loro antenati e rimasero sbalorditi di come, a
volte, le problematiche sociali del passato ritornano anche nel
presente.
Benjamin si sedette sul divano
in stoffa della zia e, incuriosito, chiese ogni particolare degli
eventi che avevano spinto i suoi antichi predecessori a cambiare
Stato e, a quel punto, vita. Anche se non capiva ogni parola
conosceva abbastanza l’italiano per seguire quel racconto così
coinvolgente, che suscitò dentro di lui un mare di diverse
sensazioni. Più il tempo passava e sempre più profondamente si
sentiva catturato da tutto quello che la terra cilentana gli offriva,
immaginando di osservare ogni cosa con gli occhi di Attilio che non
aveva potuto farvi ritorno. Benjamin sentiva che Attilio, insieme a
Bianca e ai figli, avrebbe meritato di vedere la sua famiglia vivere
e crescere nel posto che tutti loro avevano così tanto amato e
continuato a sognare per tutta la vita; a poco a poco cominciò a
prendere in considerazione l'idea di trasferirsi definitivamente nel
Cilento, con la sensazione di dare finalmente soddisfazione a un
antico desiderio e di riparare una vecchia ingiustizia. L'amore e il
rimpianto per quel bellissimo luogo era, infatti, rimasto nel cuore
di tutti, trasmesso di generazione in generazione, perché "l'uomo
ritorna nella terra in cui nasce, pensa, crede ed ama, malgrado ogni
avversità; e questo slancio naturale è anche segno della sua
vocazione umana, cristiana e letteraria." Perché se l'uomo non
può stare nella sua terra, costretto da qualcosa che potrebbe
distruggerlo, in cuor suo non abbandonerà mai il posto da cui ha
avuto inizio la sua esistenza.
Rosanna Fontana
3° classificato
IL CILENTO NEL SECONDO
DOPOGUERRA
Nell’analizzare le
problematiche socio-economiche del secondo dopoguerra, mi ha
affascinato e colpito l’analisi della questione meridionale e
soprattutto della mia terra, il Cilento.
Con grande rammarico, nel
corso del mio lavoro, sono apparse evidenti, sin da subito, le
sostanziali differenze tra Nord e Sud, l’arretratezza,
l’immobilismo, la povertà che purtroppo caratterizzano il
Meridione e il Cilento, terra di grandi contraddizioni, affascinante,
ricca di cultura, ma dove il progresso ha sempre faticato ad
attecchire e dove l’uomo ha fatto ben poco per valorizzarla.
Al termine del secondo
conflitto mondiale, infatti, il Cilento era invischiato in profonde e
laceranti contraddizioni interne, aggravate ed ingigantite dagli
eventi bellici e dalle sue tragiche conseguenze. La collettività era
consapevole della situazione di arretratezza e sottosviluppo del
Cilento. In una realtà essenzialmente rurale, a soffrire di tale
stato era soprattutto la campagna. Due erano gli aspetti
sostanzialmente negativi nel mondo contadino cilentano: la
ridotta estensione dell’azienda agricola individuale e l’eccessivo
frazionamento della proprietà.
Per quanto riguarda il primo
aspetto, si deve specificare che l’attività agricola cilentana
veniva svolta su terreni di limitata estensione, da non consentire di
produrre per i mercati, ma solo per il fabbisogno familiare. Solo
pochi proprietari riuscivano a sfruttare i terreni per la
commercializzazione dei prodotti ed erano coloro che disponevano di
proprietà medio o medio alta o di più consistenti corpi distinti,
dalla cui produzione unitaria ricavavano la quantità di prodotti da
immettere sui mercati.
L’altro aspetto negativo
l’eccessivo frazionamento della proprietà, piccola, media o
grande, era che i fondi che la costituivano non erano unici ed
omogenei, ma dislocati in più terreni in zone diverse. I terreni
frazionati e disomogenei non potevano essere adibiti ad un’unica
consistente produzione specializzata da commercializzare con
reinvestimento degli utili in un processo di continuo miglioramento
dell’azienda, ma erano sufficienti a soddisfare solo il fabbisogno
familiare. Questo mondo già precario e contraddittorio, era stato
sconvolto ulteriormente dalla guerra, perché la campagna era rimasta
per molto tempo abbandonata, perché uomini validi si erano
arruolati, perché la produzione del grano, elemento primario ed
essenziale per la nutrizione della gente era in crisi, perché i
reduci contadini, così come racconta un proprietario di Rutino, non
volevano più lavorare la terra sotto padrone e preferivano lasciare
il paese.
Vi furono vari interventi
legislativi per favorire la ripresa produttiva agricola, l’Allied
Military Goverment per creare una disciplina uniforme dei salari
fissò la paga giornaliera di lire cinquanta sia per i braccianti che
per gli operai, somma mai raggiunta nelle paghe salariali, ma che
risultava irrisoria, infatti, i beni di prima necessità
scarseggiavano e quei pochi che si trovavano sui mercati avevano
prezzi esorbitanti come il pane, la pasta, la farina, i legumi.
Nel mondo agrario vi dovevano
essere interventi determinanti ed urgenti, per riequilibrare una
situazione di sperequazione fin troppo accentuata e per dare respiro
ad una classe sociale ormai alla deriva. Nel luglio del 1944, il
Governo decise che ai coltivatori che lavoravano su fondi altrui
spettava la metà del prezzo del grano prodotto, così come era stato
determinato in precedenza per il versamento ai granai, mentre l’altra
metà andava al proprietario del fondo quale corrispettivo del canone
in natura da corrispondere.
Un provvedimento che nel
Cilento, non ebbe alcun pratico risvolto, prima di tutto perché la
produzione agraria non era più tale da consentire ai contadini,
nonostante l’introito della metà del prezzo riconosciuto, guadagni
di qualche consistenza e poi, era più conveniente portare il grano
al mercato nero, ove il prezzo era di gran lunga più remunerativo in
relazione a quello pagato dallo Stato. Altri provvedimenti,
dell’ottobre dello stesso anno, che disciplinavano alcuni contratti
agrari non ebbero applicazione, nonostante fossero rivoluzionari.
Rivoluzionari perché, per la prima volta, si riconosceva a chi
lavorava la terra il diritto di percepire quote superiori.
Nel Cilento non sortirono
alcun effetto e i proprietari continuavano unilateralmente ad imporre
patti, condizioni e salari a seconda dei propri esclusivi interessi.
L’economia locale continuava ad essere gestita dai soliti
proprietari e notabili del paese, che condizionavano pesantemente la
vita dei ceti subalterni. I contadini non disponevano del minimo
indispensabile per vivere, pur esistendo terre padronali e demaniali
incolte e non utilizzate. Sempre nel mese di ottobre, il Governo
aveva stabilito la concessione di terreni di proprietà di privati o
di Enti pubblici, risultanti non coltivati o insufficientemente
coltivati ad associazioni di contadini regolarmente costituite in
cooperative o in altri Enti, contestualmente stabilendo che le
concessioni dovessero essere fatte nei termini stabiliti dalla legge.
Nel Cilento anche questo
provvedimento non ebbe fortuna, perché il fenomeno associativo tra
contadini era sconosciuto e poi vi era la caparbia resistenza dei
proprietari che avversavano in ogni modo una più equa distribuzione
della proprietà, eppure quella disposizione poteva costituire una
spinta psicologica per i contadini per vedere legittimata la loro
azione di rivendicazione delle terre.
Ancora una volta, il Cilento
risultava sconfitto e non riesce a decollare.
Per questa situazione crebbe
la tensione sociale che sfociò in veri atti di ribellismo. I
contadini occupano le terre, a conferma del loro diritto al lavoro,
alla vita, alla dignità di uomini liberi. Il movimento si verificò
a Vallo e Roccagloriosa e poi si estese a Cannalonga, Novi Velia,
Felitto, Camerota, Trentinara, Capaccio, Castel San Lorenzo,
Albanella, Laurino. Il Cilento poteva uscire dall’atavico
sottosviluppo, come afferma lo studioso Pugliese, solo
in presenza di un trapasso da chi troppo ha e non può o non sa
condurre, a chi su quella terra lavora e suda per una malcerta e mal
retribuita mercede.
Tutto il mondo politico
conveniva sulla necessità di una riforma nel modo agrario, ritenuto
il fulcro dell’economia mondiale, da più parti si afferma che i
contadini devono avere la terra e la devono avere attraverso riforme
legali.
Ciò viene evidenziato nel
dicembre del 1947 nel Congresso regionale della terra che si svolgeva
ad Eboli e veniva ribadito anche dal Ministro dell’Agricoltura che
nel maggio del 1948, riteneva essenziale la riforma agraria. Ben
presto, però, ci fu la reazione dei proprietari terrieri, che
presentarono un controprogetto di riforma, a difesa degli interessi
agrari e avevano proposto una soluzione che prescindeva da qualsiasi
espropriazione della terra ai proprietari.
La tensione è altissima, si
verificano i primi scioperi dei lavoratori, manifestazioni in piazza
a sostegno delle lotte operaie e delle rivendicazioni dei contadini e
il 2 giugno del 1948 si ebbe uno sciopero generale, in tutto il
salernitano, contro il patronato locale. Nell’anno seguente si
susseguono manifestazioni di protesta e occupazioni di terre in tutto
il Meridione, mentre nel Salernitano la lotta divenne aspra e cruenta
a Capaccio, Roccadaspide, Trentinara, Albanella.
Il Governo non poteva più
indugiare e così il 17 marzo del 1950, viene presentato il progetto
di riforma la cosiddetta “legge stralcio” approvata ad ottobre,
che in alcune zone ottenne apprezzabili risultati, ma non nel
Cilento. La situazione Cilentana poteva essere risolta, se avesse
avuto seguito una relazione parlamentare del settembre del 1950, che
doveva dare slancio alla produzione agricola, attraverso una più
moderna tecnica agraria e riducendo i costi di produzione,
promuovendo con l’aiuto dello Stato le opere di bonifica, di
irrigazione e di trasformazione fondiarie, proteggendo e difendendo
le economie del piccolo e medio contadino coltivatore diretto,
favorendo la cooperazione agricola, riformando i contratti agrari.
Tutto ciò non avvenne, i
pochi grandi proprietari terrieri locali continuarono la consolidata
politica assenteista che spingeva sempre più le loro terre
nell’improduttività e nell’abbandono, la piccola proprietà
fondiaria eccessivamente polverizzata, non soddisfaceva neanche il
fabbisogno familiare a ciò si aggiunga l’assenteismo, anche dello
Stato, che non fornì supporti validi quali mezzi, opere,
investimenti necessari al miglioramento delle precarie condizioni dei
terreni, tutto ebbe un ruolo fondamentale, insieme al mancato
sviluppo della cooperazione agricola.
Ancora una volta il Cilento
aveva perso una grande occasione.
Precaria e delicata era anche
la situazione dell’artigianato che non aveva mai assunto un ruolo
di primaria importanza, infatti l’artigianato nel Cilento essendo
espressione di una economia povera e chiusa, a carattere
essenzialmente agricolo, era destinato a circuiti che riflettevano
quel tipo di società.
L’attività industriale,
invece, sul territorio era pressochè inesistente.
In questo contesto dove
l’agricoltura e l’artigianato erano in crisi, l’industria
inesistente, i lavori pubblici insufficienti e comunque non in grado
di creare un valido supporto all’occupazione, ai Cilentani non
restava che seguire l’esempio dei padri e abbandonare la propria
terra per cercare lontano, ciò che in patria, era loro negato.
Al termine di questa disamina
delle cause socio-economiche che hanno determinato il sotto sviluppo
del Meridione e del Cilento, voglio concludere con un augurio che in
futuro nessuno studente guardandosi indietro, possa più discorrere
di mancate occasioni del Cilento, ma che esso diventi un grande
centro di sviluppo economico per tutto il Meridione e nessuno mai
possa parlare più, come ha fatto giustamente in passato, un illustre
compaesano, Francesco
Bruno, di
impossibilità di
progresso della mia
bellissima Terra!!!