Il premio Mogensen-Bruno è instituito dalla Dotoressa Else Mogensen in collaborazione con la famiglia Bruno, perché è importante leggere e conoscere bene quello gli scrittori e le scrittrici del nostro paese hanno scritto e scrivevano perché il loro modo di pensare è anche parte del nostro patrimonio, il loro ambiente è anche il nostro. L'identità di Bruno si formò ad Ascea mentre cresceva qui, e leggendo le sue opere, si riconoscono emozioni comuni e modi di pensare che sono stati distillati da una grande mente.

Francesco Bruno

Francesco Bruno
Nato ad Ascea nel 1899, Francesco Bruno era uno dei più importanti e famosi giornalisti e critici letterari di Novecento. Bruno ha scritto narrative con relazione ad Ascea e Cilento, però sopratutto ha scritto molto sulla cultura meridionale con le radici di Elea/Velia, e lui ha tracciato la nostra cultura dall'antichità via Giambattista Vico e il grande scolaro di lingua e letteratura italiana, Francesco De Sanctis, a Benedetto Croce. Ha scritto di Alfonso Gatto, un poeta favorito da molti cilentani, e sulle opere di molti altri scrittori e personalitè letterari del mezzogiorno.

søndag den 21. juni 2015

PREMIO MOGENSEN-BRUNO – 6^ EDIZIONE 2015


PREMIO MOGENSEN-BRUNO – 6^ EDIZIONE 2015


Presso l’anfiteatro della Fondazione Alario e nell’ambito di una ‘abortita’ manifestazione di fine d’anno scolastico, si è svolta il 4 giugno, dopo un malagurato acquazzone, la sesta edizione del Premio Letterario Mogensen-Bruno, concorso di scrittura per gli alunni della Scuola Secondaria di 1° grado ispirato alla figura letteraria di Francesco Bruno.
Con grande stima e riconoscenza è stata ricordata anche quest’anno la sua ideatrice e promotrice, dott.ssa Else Mogensen. In Sua memoria si continua ogni anno ad organizzare il Premio con la collaborazione della famiglia Bruno, nelle persone della nuora dello scrittore, prof.ssa Maria Novi e i nipoti Francesco e Enrico. Insieme a loro il figlio della sig.ra Else, René Mogensen con la nuora Leila, purtroppo anche quest’anno assenti in quanto in Gran Bretagna ove vivono, e il marito della sig.ra Else, professor Lars Aagaard-Mogensen. Tutti hanno fatto parte, come ogni anno, della Commissione che ha decretato i tre temi vincitori fra i tredici pervenuti.
La tematica proposta quest’anno prevedeva un commento ben articolato e ragionato, in forma di saggio, sul dramma di Francesco Bruno La sola stella, determinando di che tipo di dramma si trattasse, analizzandone la trama, i personaggi ed eventualmente descrivendo come esso potrebbe essere rappresentato in teatro, radio, televisione, o essere addirittura trasformato in film.
La prima parte della premiazione ha visto quindi la consegna di una pergamena di merito alla classe 3^ C di Ascea Capoluogo per l’impegno profuso e l’interesse dimostrato negli ultimi due anni verso l’opera di Francesco Bruno, poi si è passati rapidamente alla premiazione individuale. Al terzo posto si è classificato il tema di Benedetta Anella Vasile della classe 3^ A, al secondo quello di Jacopo Di Stefano della classe 3^ C. Il primo premio è stato assegnato invece al lungo componimento presentato da Danilo Frattini della classe 3^ C, con la seguente motivazione:
L’elaborato, rivelando una particolare attenzione verso il testo e uno studio approfondito dei contesti storico-letterari, evidenzia impegno e riflessione razionale quasi sempre accompagnati da giudizi personali.
I premi, consistenti in denaro, libri e pergamene ricordo sono stati consegnati ai tre vincitori, anche se a ombrelli aperti e sotto la pioggia, dal professor Lars Mogensen e dalla famiglia Bruno.
Maddalena De Leo

Temi vinciatori 2015

Danilo Frattini

1° CLASSIFICATO
E’ un caldo pomeriggio di aprile ed io mi accingo a studiare. Apro la finestra della mia camera e incantato mi soffermo ad osservare l’azzurro del mare. Da lontano ascolto gli schiamazzi dei bambini che giocano in strada e per qualche attimo ripercorro la stessa sensazione di libertà e spensieratezza provata durante la scorsa estate. Ad un tratto mi sovviene il pensiero del libro che ho lasciato aperto sulla mia scrivania, così comincio a studiare. Che fatica! Che noia! Francesco Bruno però mi motiva; innanzitutto è un mio concittadino e ne sono orgoglioso; sono due anni che con i miei compagni lo stiamo conoscendo. In “storia e genesi delle avanguardie letterarie: Il Futurismo” spiega che “agli inizi del Novecento l’arte e la filosofia non riuscivano più a mantenersi tranquille, non potevano più reggere l’impeto tumultuoso della vita in continuo cambiamento ed evoluzione. La letteratura, le arti figurative e la musica erano smaniose di evadere dal cerchio della consuetudine che le mortificava e le appiattiva”. Inoltre: “nei primi anni del Novecento, le avanguardie europee Futurismo, Dadaismo, Surrealismo ed Espressionismo esplosero con lo scopo di frangere gli ostacoli che si sovrapponevano al libero e genuino sbocciare delle intuizioni e dei sentimenti”. I cambiamenti avutisi nei rapporti dell’uomo con quanto lo circonda gettano le basi di nuovi e diversi codici artistici. È questa un’epoca in cui comincia a consolidarsi un comune spirito antiborghese, cosicchè molti si trovano schierati su posizioni di tipo anarchico e rivoluzionario. Sorge quindi una grande letteratura che mette in risalto una coscienza dello squilibrio e che turba la sicurezza dell’individuo e della società scavando fino in fondo nei risvolti più segreti dell’uomo. In questo contesto si inserisce il dramma di F. Bruno che evidenzia delle personalità che rispecchiano le sofferenze dell’uomo moderno. Anche la musica, il cinema, il teatro e varie forme di spettacolo e generi artistici sono influenzati da queste tendenze. Il dramma La sola stella rispecchia i cambiamenti dell’uomo moderno che soffre di solitudine demoralizzante, angosciosa, intollerabile come il freddo atroce di un inverno che non finisce mai. È questo il periodo in cui si afferma la psicoanalisi di Freud in grado di spiegare alcuni comportamenti dell’uomo, ma è anche il momento in cui prende forma una nuova tendenza culturale a Zurigo, nella Svizzera neutrale alla vigilia della prima guerra mondiale: è il Dadaismo che interessa le arti visive, la letteratura e la grafica. Stravolge gli standard dell’epoca ed enfatizza la stravaganza e l’umorismo. È nel Dadaismo che il nostro letterato si riconosce perché come i Dada è stato un accanito pacifista; l’altro elemento che accomuna il nostro artista ai dada è l’assoluta originalità della sua opera. Quando il Dadaismo scompare, infatti a breve nasce il Surrealismo in Francia per iniziativa di Andrè Breton, movimento che proponendo nuove forme di esperienza anch’ esse opposte alla logica borghese, arriva a scoprire nuovi territori dell’umano. In questo movimento infatti dominano il sogno, la magia, l’erotismo, il fantastico e tutto ciò che tende a mirare ad un cambiamento di vita. È nell’ ambito di questo particolare filone artistico e letterario che Francesco Bruno elabora la sua rappresentazione drammatica intitolata La sola stella. Il testo autografo dell’atto unico viene trovato nel 2000 a Napoli nella casa di Francesco Bruno ed è stato scritto ad Ascea. Il figlio dell’autore Elio Bruno ne “L’Antiquario e la consorte” testimonia che i fogli di questo dramma, ritrovati ingialliti per il lungo tempo trascorso non presentano nè correzioni nè cancellature. Nella prima scena è narrato un episodio accaduto che regge la successiva impalcatura fra temi sociali e il protagonista è Giuseppe Marino che nel dramma diventerà Armando, amico fraterno di Bruno. Il dramma nasce sotto il segno del realismo e il percorso realistico si rifà ad una realtà osservata e descritta. In questo atto unico vengono infatti descritte la vita quotidiana, le disavventure, le aspirazioni e le passioni dei suoi personaggi. Il sentimento è un tema centrale che si manifesta sotto forma sia di amicizia che di amore. La sola stella presenta le caratteristiche del dramma borghese sviluppatosi in Europa tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, allo scopo di descrivere tragedie domestiche e vicissitudini di personaggi non più eroici come accadeva in passato. In quest’ opera si delineano cinque personaggi: Aurelio Vicini, zio Renato Vicini nipote, Armando Benizzi amico fraterno di Renato, Elena, e Maria la domestica. Lo stesso autore dichiara che l’azione si sviluppa “in un villaggio di campagna, in una giornata chiara di ottobre”. La scena prende forma con la descrizione di “un'ampia stanza - lo studio di Renato - dalle pareti bianchissime, con due porte di entrata, alcune sedie, un tavolo su cui sono lasciati in disordine diversi libri e giornali, e una scrivania in un angolo con uno scaffale di volumi”. La descrizione dell’ambiente interno con scrivania, libri… è tipico di F. Bruno perché lui ha amato molto i libri perché istruivano ed educavano. Infatti cultura e istruzione sono stati i punti fermi del suo pensiero. In quella “giornata di ottobre, fresca e cristallina il sole riflette la sua luce in tutta la stanza”; un'annotazione che allude alla pioggia pregressa: “dal giardino sale un odore di fogliame putrefatto nell’acqua e rende l’aria più grave e pesante”. Probabilmente la descrizione dell’ambiente esterno nella stagione autunnale è tipicamente asceoto ed io vivendo in paese ho la possibilità di godere lo scorrere delle varie stagioni con i loro colori e i loro profumi. In questo clima non possono non risaltare le differenze esteriori e caratteriali dei due personaggi Armando e Renato. È in questa giornata, con quel forte raggio di sole, che rappresenta la speranza che Armando Benizzi comunica al suo amico Renato la lieta notizia della sua partenza: “Devo partire, capisci, ritornare a Roma, alla mia Roma sognata, amata in silenzio”. Probabilmente è nella pioggia pregressa che invece si riflette il malessere di Renato unito alla sua incapacità di lasciare l’ambiente ostile nel quale rimane imprigionato. Armando Benizzi era stato un ufficiale e ricevendo una proposta lavorativa dal ministero, ora si dice pronto a partire per Roma. Questo giovane calmo e sorridente, bruno e di piccola statura indossa un abito nero e si presenta alquanto signorile nell’aspetto e nei movimenti. Il suo sogno che si realizza nel suo momento della partenza è volto ad un cambiamento di vita; ad una vita che immagina possa essere diversa da quella condotta in un piccolo paese di provincia, una vita monotona, noiosa, a volte pesante. Armando rappresenta l’incarnazione del nuovo e di un sogno agognato che diviene realtà. Egli è un giovane dinamico e intraprendente, pieno di vita e molto ricercato. In particolare legato a Renato da un sentimento di amicizia fraterna; ”E tu, Renato, verrai con me, staremo insieme, lavoreremo, lotteremo insieme...” Renato Vicini, giovanissimo anche lui, è alto, pallido, dall aspetto stanco e pensoso. Indossa un abito chiaro, un po’ vecchio e sdrucito, senza cravatta e con i capelli lunghi e in disordine. Già dall’abbigliamento si possono notare le differenze tra questi due giovani amici. Renato, diversamente da Armando, appare trasandato esteriormente, oltre che spento spiritualmente. Sin dall’inizio della scena lamenta una voglia di dormire: ”E' un rimedio efficace al mio male”, confessa ad Armando. Inoltre, appresa la notizia dell’imminente partenza dell’amico non tarda a manifestare il suo distacco; “aspettavo anch’ io una volta... ora sono un altro: non meravigliarti; la vita è fatta di queste altalene!” Eppure Armando fatica a capire la decisione che Renato sembra aver preso: ”Ma non comprendo! Un mese fa parlavamo... del nostro destino, dei nostri giorni inutilmente spesi in questa solitudine... ora che questa possibilità... potrebbe essere realtà… cerchi di sfuggire alle promesse di un tempo”. In questo confronto con l’amico Renato riesce man mano a palesare il suo dramma interiore: ”... io ho qui, nel cuore, nel cervello, qualche cosa che pesa, urla disperatamente!”. Fu in quel tempo che io avvertivo di essere attratto da mia cugina Elena...”. Armando ascolta quello che il suo amico vuol dirgli, gli sta accanto, cerca di sorreggerlo e di trovar parole di incoraggiamento e stimoli che possano aiutarlo a reagire al suo stato di solitudine e di abbandono. Nel sentir tali parole, rimane sbigottito. Forse il sentimento che il suo amico nutre per Elena, sua cugina, è una conseguenza dell’ incapacità di Renato di cercare nella sua vita altre distrazioni! In fondo i due giovani si sono trovati spesso a vagare in fantasticherie giovanili, immaginando come sarebbe stata la vita in città. “Ricordi quando volevamo crearci in noi l’illusione di vivere diversamente, e ci foggiavamo nella fantasia un’altra esistenza quasi per pregustare la gioia di un soggiorno più umano?“ Qui si pone l’accento sulla parola illusione, quelle illusioni che avevano caratterizzato Foscolo, ma anche Leopardi con la sua giovinezza trascorsa, ma non vissuta. Per questo poeta i giovani, in fondo, sono lusingati proprio da quelle illusioni che li legano alla speranza di un futuro felice, ma la triste realtà è che quei sogni si muteranno in amarezza come si evince dagli Idilli leopardiani. È in questo ambiente montano, di provincia che la frustrazione dei due giovani sembra accentuarsi, ma Armando con decisione da una svolta alla sua vita. È tra fine 800 e inizio 900, del resto che si riscontrano gli effetti della seconda rivoluzione industriale con il fenomeno dell’urbanizzazione e che trova il suo riscontro anche nella vita dello stesso autore. Lui nasce ad Ascea, ma vive per lo più a Napoli, pur amando il suo paese, ipotizza una impossibilità di progresso che proprio durante i suoi frequenti ritorni ad Ascea, sembra toccar sempre più con mano. Probabilmente in Armando si cela proprio il nostro critico che con decisione e forza abbandona il suo paese e si rifugia in città. C' è tuttavia un movimento filosofico e culturale da tenere in considerazione: il Positivismo. Auguste Comte nel 1852 ideava il motto: ”L'amore per principio, l’ordine per fondamento, il progresso per fine”. D’ altro canto questa corrente di pensiero inneggia al progresso prodotto dall’incessante sviluppo scientifico e tecnico e non guarda ai vinti, ma ai vincitori. Tornando all’ ambiente chiuso e privo di progresso in cui i due giovani vivono è proprio questo a risvegliare in loro sogni, illusioni e paure e se in Armando si riscontra la voglia di credere in un futuro migliore in Renato si manifesta piuttosto il timore di una vita controcorrente. In lui, d’ altra parte è presente anche una tremenda angoscia dettata dall’amore che nutre nei riguardi di Elena. “Ella era inchiodata sulla sua sedia paralitica da diversi anni, ma sempre bella come nessun altra donna di mia conoscenza. Spesso le leggevo dei romanzi e rimanevo solo con lei. Qualche volta pensavo ai nostri discorsi e al nostro domani e già sentivo di ammalarmi del male che in poco tempo doveva debellarmi”. “La vedevo così e mi sembrava che ella mi sorridesse, mi offrisse la sua bocca...” Renato si fa sempre più pallido...”E' orribile, orribile! Sono un mostro!” In queste parole e atteggiamenti sono presenti due donne: la donna “angelo” del Dolce Stil Novo, quella donna di Dante, Petrarca, della scuola siciliana e toscana in grado di “guarire” le ferite dell’uomo e quella donna moderna che incarna l’amore materiale. A questo punto compare Aurelio Vicini, zio di Renato e di Elena. Lui è un uomo alto, vecchio, dalla chioma inargentata e dal volto scialbo vestito di un pesante abito da casa. Ha uno sguardo spento; quasi indifferente: ”Credevo foste già usciti con questa giornata piena di sole”, rivolgendosi ai due giovani. Aurelio è stato un militare in guerra e dai suoi discorsi si evince un’insoddisfazione di fondo causata dalla sua vita statica. Lui, che è rimasto bloccato fra quei monti, incarna, in questo dramma, l’ennesima figura sopraffatta dalla solitudine, dalla paura e dai sogni andati in frantumi. Aurelio ingloba quindi le caratteristiche dei due amici e nelle loro giovani vite riflette la sua voglia di rivendicare una fuga dall’ ambiente in cui ha vissuto che, come lui stesso racconta, non ha mai avuto luogo. ”Siete giovani ora, e dovreste cercare di esserlo sul serio, ve lo dico io! Qui c’ è poco da sognare: qui si sfiorisce prima di fiorire. Anch' io sono stato giovane, ma solo di nome. Forse è destino della mia famiglia: pure mio padre, mio nonno, vissero cosi!” E incalza: ”E' bene che fuggiate, se no... non vedete il mio esempio? Sono un uomo finito, io, e proprio per essere rimasto bloccato fra questi monti... Dovete fuggire, Armando, Renato, andare lontano”. E’ costui il tipico uomo della provincia, il “signorotto”, il saggio ancorato a vecchi valori, è colui che vive nei ricordi legati alla sua carriera militare e che lo aiutano a sopravvivere quando è in preda all’angoscia e alla solitudine, ma è anche l’individuo dalla doppia personalità perché rappresenta un’epoca di transizione: il passaggio da una società agricola della quale rappresenta le caratteristiche ad una società industriale della quale incarna alcuni aspetti. Nel frattempo i due giovani si ritirano per la porta laterale, e dietro la porta di mezzo si sente la voce chiara e squillante di Elena: ‘’Zio, si può entrare?” Questa giovane ragazza paralitica, vestita di nero, è molto attraente ed ha due occhi bellissimi ed una faccia alquanto sciupata e velata di un pallore appena visibile. Sin dall’inizio della sua comparsa è facile ravvisare in lei uno smisurato desiderio di cultura. Elena, oltre ad essere bella è anche intelligente: ”Voglio leggere solamente: voglio prendere d’assalto il libro. Vedi? È nuovo: è un romanzo di Grazia Deledda. Dicono tanto bene di questa scrittrice”. In effetti anche nella realtà Francesco Bruno è mosso dalla stima nei riguardi di costei, infatti è a lei che consacra la sua prima monografia in Italia. Aurelio Vicini che ha di fronte sua nipote commenta. “Ai miei tempi le donne non sapevano leggere: ora il mondo è migliorato”. Elena riprende: “Tra poco le donne andranno anche a votare e prenderanno parte attiva nella società. La civiltà, il progresso, caro zio!” Sono qui di fronte due personalità del tutto contrapposte: Elena, incarnazione del progresso e dell'evoluzione, Aurelio testimone di una società agricola all’ interno della quale la donna non occupa che un ruolo subalterno. Non si può, a tal proposito non evidenziare come attraverso le sue capacità Francesco Bruno riconfermi il suo sapere e saper essere anche scrittore di donne, quelle donne che lui vede e descrive nei loro aspetti più intimi e nella loro condizione sociale. Ne La sola stella oltre ad Elena compare anche un’altra figura femminile: Maria la domestica che, diversamente dalla sua padrona simboleggia l’immagine della donna del Sud in quel periodo, una ragazza ignorante: ‘’Invece noi non sappiamo leggere in nessun libro: voi, signorina, siete istruita e leggete in tutti i libri”. Maria si presenta vestita con uno stretto camice bianco e con un fazzoletto che le copre i capelli e le scende fin sopra gli occhi alquanto piccoli e inquieti. Tuttavia, quello di Elena e Maria risulta essere un rapporto fondato sull’amore e sul rispetto reciproco. Maria incarna i valori veri della donna asceota: amore, rispetto e devozione verso la sua padrona che lei tanto ama ed ammira. Maria lascia la stanza in cui Elena è immersa nella sua lettura, ma dopo pochi minuti Renato le fa visita ‘’Elena! Vedo che tu vorresti evitare la mia presenza, e sei già emozionata... Elena, Elena, voglio che tu mi dia ascolto, che mi comprenda, ora! Elena, Elena, voglio che tu sia la mia liberazione.” Elena ha paura e vuole andar via, ma Renato è oramai fortemente spinto dal desiderio di esternarle i suoi sentimenti, non si ferma e continua ad incalzare: ”La sola stella d' allora, che mi suscitò tanto desiderio, ma per cui non sentivo nulla di veramente profondo. Nulla perchè io sono legnoso, insensibile a tutto e non ho mai amato nessuno. Dopo piansi quando raffigurai te, Elena in quella stella.” Adesso Elena… è commossa nell’ascoltar quelle parole e sembra che sul suo volto sia impresso tutto il suo dolore e amore di donna: ‘’Perchè ricordare?” reclama; e Renato: ”Perchè nel ricordo è il brivido di tutte le passioni umane... perchè nel ricordo, Elena, è la luce del nostro passato, di grandezza o di vergogna, e per essi possiamo inorgoglirci o riabilitarci se non sia troppo tardi.” È chiaro che Francesco Bruno intende evitare un realismo fine a se stesso e la sua scelta che lo indirizza verso una strada diversa - quella del ricordo - è la conferma del suo percorso. È a questo punto che da parte dell’autore scaturisce il suo intento di mescolare le carte della realtà e della fantasia valorizzando il ricordo e con esso il sogno. Non a caso F. Bruno sostiene la necessità di rileggere buona parte della letteratura meridionale in chiave onirica e surreale. Il dramma prosegue con l’entrata di Maria che avvicinandosi alla sua padrona la porta via. Renato intanto resta immobile, ma col passare dei minuti si rasserena. La porta laterale si apre ed ecco di nuovo che compare Armando, ‘’Ero inquieto per te, per la tua salute...” E Renato: ”Volevo dire che forse partirò anch’ io”. Ma i dubbi cominciano ad occupargli la mente. ‘’E se non saprò vivere fuori del mio mondo?” Armando intanto è deciso: ”Senti, Renato, io partirò frattanto per non perder tempo e tu cercherai di cambiarti. Poi mi scriverai”. E Renato:”Ma dimmi, Armando, a Roma ci sono donne da amare? E si riesce ad amare?” Ma certo: tante donne che si fanno amare, ma ora devo lasciarti… Armando si alza e guarda il suo amico, lo abbraccia e gli dice: “ci rivedremo a Roma, non è vero? Verrai anche tu, mio caro e allora saremo felici insieme...” Renato conclude: “Armando senti non verrò mai a Roma... perchè qui ci sono donne che si fanno amare!” Lo scoglio a cui è ancorata l’ostrica di Verga era nient’altro che il mondo occupato dai suoi personaggi; un mondo di pena, ma sorretto da valori autentici come la religione della famiglia e il senso del dovere è riconducibile alla condizione economica e sociale a cui è ancorato l'uomo e non se ne può distaccare. L'ideale dell'ostrica scaturisce proprio dal “tenace attaccamento di quei poveri sventurati allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere”, un ideale che se tradito per curiosità di conoscere il mondo porta alla sconfitta. Nei Malavoglia Lia ed il giovane “Ntoni che si sono staccati da quello scoglio perché attratti dall’ ignoto o per desiderio di meglio sono stati ingoiati dal mondo. L’ ostrica si è quindi staccata dallo scoglio e” Ntoni ha tradito l'etica familiare fatta di rassegnazione. L'ingranaggio sociale ed economico non consente cambiamenti di rotta, così chi decide di andare controcorrente per Verga non è altro che un vinto. Il personaggio di Armando nella La sola stella è colui il quale si illude “leopardianamente” di andare incontro ad un destino migliore. In fondo il suo distacco dallo scoglio rappresenta per lui l'inizio di una vita diversa, ma per dirlo nella maniera verghiana Armando non è che un vinto e se tra i due giovani personaggi del dramma vi è un vincitore questo è proprio Renato. La sola stella che Renato osserva rappresenta solo un valido motivo per non distaccarsi dall'ambiente in cui vive. “La sola stella” Elena - è lo scoglio a cui l'ostrica “Renato” rimane ancorato. Francesco Bruno si spegne a Napoli nel 1982 invocando i suoi familiari, la scogliera del suo paese e la macchia verde della campagna e degli ulivi saraceni; il suo scoglio Ascea conserverà sempre un posto nel suo cuore, pur spostandosi di lì per seguire le sue inclinazioni e attraverso queste per conoscere il progresso che lui ha sempre inseguito.
Oggi il suo dramma dal titolo La sola stella lo immagino rappresentato in televisione in forma di fiction ambientata negli anni ‘20 in un piccolo paese collinare come Ascea che specialmente di sera sembra un presepe al cospetto di un pubblico che avendo conosciuto ed assistito ad un sempre maggiore progresso con la relativa perdita di valori  ricorda con nostalgia gli anni ‘20. Con questa storia certamente ritorneremo alla televisione di un tempo quando la RAI ha svolto un ruolo educativo ed istruttivo sugli italiani che erano appena usciti da una delle pagine più scure della nostra storia. Gli stessi telefilm che avevano accompagnato tante ore passate dai nostri genitori davanti alla TV sono finiti nel dimenticatoio per dare spazio a programmi televisivi scadenti, anzi direi di pessima qualità. Oggi grazie al digitale terrestre tanti show leggendari sono ritornati in onda riuscendo ad attirare anche il pubblico dei più giovani. Quindi La sola stella con i suoi contenuti forti e profondi potrebbe attrarre un vasto pubblico, avere successo, stimolare la nostra immaginazione, fantasia, riflessione e farci riamare di nuovo la TV. Ora riapro la finestra della mia camera, guardo il mare e penso al progresso, alla scienza, alla tecnologia, alle nuove scoperte e mi chiedo: qual'è la sola stella da inseguire?

Jacopo Di Stefano

2° classificato
Provate a chiudere gli occhi, provate ad immaginare un cielo stellato. In questo cielo ci saranno miliardi e miliardi di stelle, ma solo una brillerà davvero e sarà la vostra stella. Così, molto probabilmente accadde a F. Bruno il nostro critico letterario, giornalista e scrittore italiano tra i più originali del Novecento quando compose il dramma La sola Stella. Io, ancora giovane e inesperto mi pongo delle domande. Chi è in realtà quella stella? Che cosa rappresenta? Penso che dietro le cinque punte della luminosa stella si possa nascondere una donna, una ragazza o perché no, una bambina. Il dramma si inserisce tra tre epoche artistiche: Dadaismo, Surrealismo e Futurismo. La storia si sviluppa in un villaggio di campagna, in una giornata chiara di ottobre, in un giorno fresco e cristallino con il raggio di sole che illumina la stanza. Mi ricordo a questo proposito una citazione di San Francesco d’Assisi che può chiarire il significato di questo raggio di sole “Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre”. Dal giardino poi della casa, saliva un odore di fogliame putrefatto nell’acqua e rendeva l’aria più grave e pesante… Anche la descrizione di questo piccolo quadretto naturale secondo me rappresenta Ascea nel periodo autunnale e probabilmente il giardino di casa Bruno; quel giardino immagino anche fonte di ispirazione dietro l’abitazione del nostro letterato, quel giardino con quella pianta di melograno che lui amava tanto e che a me fa venire in mente Carducci con la poesia “Pianto antico” dedicata al figlioletto Dante. Non voglio nominare la parola morte perché mi fa paura e chi leggerà queste mie parole capirà perché. Posso immaginare quante volte i figlioli del mio illustre conterraneo avranno teso la mano come il piccolo Dante per afferrare al volo una melagrana! Il primo personaggio presentato è Armando Benizzi: giovane, bruno, pieno di vita. Vestiva spesso di nero ed era alquanto ricercato e signorile nell’aspetto e nei movimenti con cui incede e si presenta. Era sempre calmo e sorridente, soprattutto quel giorno che il direttore generale del Ministero di Roma lo chiamò per farlo partire ed avere un nuovo lavoro, ”un posto nel mondo”, come diceva lui. Era contentissimo di poter vivere nella sua amata e sognata Roma. Non altrettanto felice della notizia era l’amico: Renato Vicini, giovanissimo, alto e pallido con un aspetto assai stanco e pensoso. Vestiva negligentemente abiti chiari, senza cravatta e con capelli lunghissimi in disordine. Renato era allettato in un primo momento dall’idea di partire insieme ad Armando, ma in un secondo momento sembrava contrario. Era felice per l’opportunità concessa all’amico, ma gli disse esplicitamente che in passato aveva sognato di evadere, ma adesso non lo desiderava più. I due giovani vennero anche incoraggiati a partire dallo zio Aurelio Vicini “È bene che fuggiate... Sono un uomo finito, io, e proprio per essere rimasto bloccato fra questi monti… Dovete fuggire ... andare lontano…” Aurelio: “vecchio alto e sparuto, dalla chioma ancora larga e inargentata, dal volto scialbo e aggrinzito”. Vestiva con un abito “da casa, giallognolo e rattoppato, col collo fasciato da una cravatta larga...; cammina, spesso e piano, con le mani in tasca e guarda all’intorno con uno sguardo smorto e indifferente”. In costui si riflettono vari aspetti dell’uomo moderno contemporaneo: la solitudine, le illusioni, i sogni andati in fumo. In questi personaggi come nell’intera opera ritroviamo alcuni ideali di Moravia: la descrizione del mondo borghese, del quale coglie lo sfacelo morale, il dissolversi dei valori, l’ipocrisia e la menzogna. Il romanzo Gli indifferenti ha una impostazione teatrale, proprio come questa opera perché ci sono pochi personaggi; infatti l’azione si incentra su quattro figure principali: Mariagrazia, Carla, Leo e Michele. Inoltre si riflette in varie parti del dramma di F. Bruno la tematica della ”Noia” romanzo dello stesso Moravia nel quale l’individuo non riesce a stabilire dei rapporti positivi con le cose. Aurelio afferma che ora ci sono troppe fantasticherie giovanili e pensieri sbandati, dispersi da ventate di tempesta. Ricorda la sua giovinezza trascorsa, ma mai vissuta pienamente. In questa affermazione si riflette il sentimento “Gli anni perduti” di Vitaliano Brancati in cui rievoca la vita provinciale di una città del Sud (Catania) nella quale i personaggi vivono in un clima opprimente di noia e di vuoto. Armando è contento di poter lasciare, finalmente, le mura domestiche, di non guardare più questi squallidi paesaggi, ma di ammirare cose nuove, però è preoccupato per la salute dell’amico, che sembra sempre più preoccupato per qualcosa. Il giovane Armando secondo me può essere paragonato allo stesso F. Bruno che stanco, ma direi piuttosto deluso perché era evidente un divario fra Nord Sud, ma anche una differenza tra città e paese della stessa regione; quel progresso economico, culturale, sociale sempre sognato non è mai arrivato nel suo amato paese “Dolce paese onde portai conforme l'abito fiero e lo sdegnoso canto… Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano…”. Ancora una volta significativi sono i versi di Carducci che meglio di me esprimono tali sentimenti. Quindi non resta altro che abbandonare il borgo natio e partire, ma ritornarci spesso per poter ammirare le bellezze naturali fonti di ispirazione e di tranquillità.
Sicuramente Armando è combattuto: vuole partire, ma non vuole neanche lasciare solo l’amico, in preda alla sua malattia. L’amicizia è profonda tanto che Renato gli confida che è innamorato della cugina Elena, una ragazza paralitica che giace su una sedia a rotelle. Vestita di nero, Elena, è corretta e attraente nell’aspetto; ha gli occhi bellissimi che brillano in due orbite larghe e lievemente cerchiate di nero... Ha la faccia alquanto sciupata e languidamente velata d’un pallore appena visibile. Una ragazza caratterizzata da dolcezza e intelligenza. Questa è la stella di Francesco Bruno e in questa stella ha proiettato i suoi ideali. Lui sosteneva che l’istruzione doveva abbracciare tutti i ceti sociali: ricchi e poveri, maschi e femmine ed Elena non a caso è una ragazza intelligente e istruita. Sulla scena la ragazza, era seduta su una bassa sedia con braccioli e con la mano destra teneva il bracciolo che metteva in moto la sedia. Perché F. Bruno ci presenta Elena paralitica? Ho pensato che Elena è così rappresentata per far riferimento a quel suo angelo volato in cielo. Elena che non ha potuto vivere la giovinezza come dovuto. La ragazza, intanto leggeva un libro della sua scrittrice preferita: Grazia Deledda, scrittrice molto cara a Francesco Bruno. Poi c’è Maria, la domestica, “ragazza molto svelta e bruttina, rinchiusa in uno stretto camice bianco con un fazzoletto che le nasconde i capelli e le scende fin sopra gli occhi piccolissimi e inquieti”. È la tipica ragazza del paese: analfabeta, ma nella sfortuna fortunata perché ha la possibilità di vivere con Elena, si sottrae anche al duro lavoro della terra perché in quel periodo i ragazzi e le ragazze in tenera età venivano utilizzati come forza lavoro. Maria però è portatrice di valori, sono anche i valori del mondo contadino: spontaneità, autenticità, amore, rispetto e devozione. Per questi sani valori Elena ha un rapporto forte con Maria nonostante le evidenti differenze culturali. F. Bruno in questo personaggio evidenzia il volto malato del Sud: analfabetismo, miseria, sottosviluppo. Renato alla fine facendosi coraggio, anche se pallidissimo, spettrale, con i capelli che gli scendevano sulla fronte, aperti e disordinati confida ad Elena i suoi sentimenti. Come una pecora smarrita dal gregge, alla fine implora Elena di perdonarlo. Afferma di essere innocuo, di essere solo un povero malato che insegue la sua ombra e il suo destino. Il giovane richiama alla mente anche il ricordo di quando si accorse della “luce” che emanava Elena, la sua sola stella. Lei, spaventata, non vuole ascoltare le sue parole, che scorrono come l’acqua dentro il mare. Prova a far ragionare Renato, spiegandogli che quelle parole che escono dalla sua bocca non significano nulla e che lei desidera vederlo in futuro solo come un fratello, se vorrà. Intanto le parole della ragazza sono spezzate, cosi come il cuore del giovane, che abbattuto si lascia cadere su una sedia, dall’arrivo di Maria. Allora Renato, afflitto senza riflettere, come se avesse un’ascia conficcata nel cuore, decide di cambiare idea, prende in considerazione di andare a Roma con l’amico. Probabilmente lo fa solo per provare a dissolvere i suoi fitti e tanti pensieri rivolti a Elena, la fonte del suo male. Fatto sta che Armando gioisce per poco all’idea dell’amico di partire con lui, perché alla fine Renato non partirà per stare vicino a Elena, per guardarla, per pensarla e perché lei è una donna che si lascia amare in silenzio. Armando realizza il suo sogno, lasciare le mura domestiche, ma anche Renato avvera il suo sogno, stare vicino a Elena, ovvero l’unica cosa che desidera. Un finale un po’ a sorpresa, ma Renato sicuramente è un sopravvissuto.
Il dramma è sicuramente ben articolato, con descrizioni perfette, ben scritto e che riesce a suscitare diverse emozioni, riflessioni e pensieri, ma durante lo studio anche una certa suspence. Metterlo in scena o trasformato in un film sarebbe il massimo. Francesco Bruno ha scritto il dramma nel 1923, all’epoca del Dadaismo e agli allori del Surrealismo, ma in quel periodo si stava svolgendo una battaglia che porterà dalla compagnia girovaga che ha come centro il grande attore-mattatore a una compagnia stabile che ha come principale esponente il regista. Era anche il periodo in cui l’Italia stava realizzando lentamente il passaggio dalla società agricola a quella industriale: è stato questo un processo lento come lento è il processo che porterà all’affermazione del teatro del regista. Quindi in quel periodo secondo me era difficile presentare questo dramma perché il teatro era agli albori. Il teatro è un’industria che deve rispondere come tutte le industrie alla legge della domanda e dell’offerta. Questo scritto teatrale è la parte viva del teatro e può fare da padrone perché è un testo completo e intorno ad esso devono ruotare gli attori, luci, scenografie, musiche … Oggi come potrebbe essere la reazione delle persone alla vista di tale dramma? Ci saranno recensioni negative e positive, ma per chi ne capirà davvero il significato vero sarà istruttivo. Forse anche per coloro che non lo comprenderanno a pieno potrà essere positivo. F. Bruno nella trama di questo dramma ha inciso intelligenza, saggezza e conoscenza; io con tanto impegno ho cercato di apprendere, ma la cosa più bella è che porterò sempre con me F. Bruno perché mi ha appassionato.

Benedetta Vasile

3° classificato

Francesco Bruno é stato un giornalista, critico letterario, scrittore cilentano trapiantato a Napoli, tra i più originali del Novecento. Ha fondato e diretto settimanali e periodici culturali, ha lavorato per le maggiori testate giornalistiche, ha scritto poesie e volumi di narrativa che hanno avuto come luogo immaginativo Ascea e il Cilento.
È stato un intellettuale libero che ha raccontato la storia di uomini e donne cilentani che rappresentano e difendono il fascino di una terra antica di filosofi e poeti greci che rivive nell'amore dello scrittore, che non ha mai dimenticato la sua gente e le sue radici. Dalle sue opere emerge sempre la volontà di ricordare, raccontare, rappresentare quegli scenari culturali di cui è ricco il Meridione. Troviamo la presenza di un profondo realismo che permette a tutti di capire quella cultura da dentro.
La sola stella che é un racconto tratto dalle novelle "L'antiquario e la consorte" (inedito pubblicato postumo dal figlio Elio Bruno con la postfazione del professore Francesco d'Episcopo, nel 2001), rappresenta tutto questo: descrive e ricorda la storia di uomini cilentani negli anni '20. É un dramma borghese che racconta le vicende dolorose e i problemi esistenziali di due giovani di provincia; ne descrive la vita quotidiana, i disagi e le aspirazioni. Due amici vedono sfiorire la loro giovinezza fra le quattro mura della loro "infame dimora", disprezzata perché non permette loro di conoscere la vita tumultuosa e agitata della città. Hanno vissuto immaginando e desiderando un'altra esistenza, una possibilità che però si presenta quando il giovane Renato Vicini sta vivendo un profondo e disperato dramma interiore. Renato è un giovane alto, dai capelli lunghi ma dall'aspetto pallido e stanco che riflette il disagio che vive in quel momento. L'amico Armando Benizzi è anch'egli molto giovane, piccolo di statura, bruno e pieno di vita. Veste in maniera ricercata e signorile, già questo manifesta il suo entusiasmo e la volontà, condivisa un tempo con l'amico Renato, di voler cambiare vita. Armando, che è stato ufficiale di guerra qualche anno prima, è stato richiamato a Roma dal Ministero, ma la proposta arriva quando l'amico vive il suo dramma. Anche lo zio Aurelio Vicini incoraggia i due a fuggire da quei monti e da quei luoghi solitari in cui anche i loro antenati hanno vissuto da eremiti. Lo zio è un vecchio alto, dai capelli argentati e dal volto raggrinzito, con uno sguardo senza vita e che rimpiange molto il fatto di essere sempre rimasto bloccato in quella terra dove c'è poco da sognare, dove si sfiorisce ancor prima di fiorire, dove si è giovani solo di nome. Invita ripetutamente i due amici a cambiare vita perché Roma, città eterna ed immortale, li aspetta. Dal racconto però emerge un male oscuro che uccide l'anima e i sogni: la solitudine. Una vita spesa in solitudine e isolamento distrugge l'esistenza, per questo motivo Renato ormai combattuto, invita più volte l'amico Armando a fuggire da solo. In un posto diverso dove non ci si ammala perché non c'e' noia, dove la vita non é castigata e il tempo non viene sprecato. I ripensamenti di Renato sono dovuti a uno strano sentimento che l 'ha portato a sentirsi attratto dalla cugina Elena. Una bella ragazza paralitica, dal corpo divenuto per questo agile e snello, dall'aspetto sempre attraente e intelligente, con due occhi bellissimi e con l'amore per la lettura e i romanzi. All'epoca erano poche le donne che sapevano leggere, ma cominciavano ad avvicinarsi sempre di più alla vita pubblica e al progresso. Infatti la storia ci insegna che questo desiderio di conquista, di libertà e di rinnovamento ha sempre sconvolto e agitato il mondo con le guerre. Diversa, invece, è la figura di Maria, la cameriera di Elena, una ragazza “svelta e bruttina con due occhi piccoli e inquieti”, che si sente una contadina sciocca ma che conosce cose che non si imparano a scuola: la bontà e la umile generosità di chi non sa leggere. Renato troverà sollievo e liberazione solo quando la cugina Elena gli avrà concesso il suo perdono e lo avrà alleggerito da quel pesante fardello. È oppresso da un'angoscia nel cuore perché in un momento di malata solitudine e di smarrimento ha cercato la sua salvezza seducendo la cugina per la quale non provava niente di veramente profondo, ma che in quel momento ha rappresentato nella sua vita buia l'unica e sola luce che brillava. La "sola stella" che ha suscitato tanto desiderio e poi un atroce rimorso. Elena commossa riuscirà a perdonare nonostante il brivido doloroso del ricordo del suo sacrificio. A volte inciampare nei ricordi serve a trovare la ragione della nostra esistenza anche se il nostro passato rappresenta vergogna e non solo grandezza, perché con un sincero pentimento, "ogni colpa può trasformarsi in bellezza eroica''. Renato ricomincerà solo così a valutare la possibilità di raggiungere l'amico a Roma perché ''ovunque è mondo: basta saperlo immaginare''.
Questo racconto è stato scritto all'inizio del Novecento, ma il lettore di oggi potrebbe sentirlo molto vicino perché è un argomento molto attuale che coinvolge gran parte dei giovani che, presi dalla noia e dalla solitudine, compiono atti insensati che possono nuocere solo a se stessi. Questo è un intreccio normativo destinato sicuramente alla rappresentazione teatrale, a un pubblico ancora oggi capace di capire il dramma interiore suscitato dai rimorsi, la capacità di chiedere perdono e di perdonare, i sogni giovanili di evasione e di libertà e la lotta perenne contro il male della noia e dell'isolamento che uccide l'anima.