Danilo Frattini
1° CLASSIFICATO
E’ un caldo pomeriggio
di aprile ed io mi accingo a studiare. Apro la finestra della mia camera e
incantato mi soffermo ad osservare l’azzurro del mare. Da lontano ascolto gli
schiamazzi dei bambini che giocano in strada e per qualche attimo ripercorro la
stessa sensazione di libertà e spensieratezza provata durante la scorsa estate.
Ad un tratto mi sovviene il pensiero del libro che ho lasciato aperto sulla mia
scrivania, così comincio a studiare. Che fatica! Che noia! Francesco Bruno però
mi motiva; innanzitutto è un mio concittadino e ne sono orgoglioso; sono due
anni che con i miei compagni lo stiamo conoscendo. In “storia e genesi delle
avanguardie letterarie: Il Futurismo” spiega che “agli inizi del Novecento l’arte
e la filosofia non riuscivano più a mantenersi tranquille, non potevano più reggere
l’impeto tumultuoso della vita in continuo cambiamento ed evoluzione. La
letteratura, le arti figurative e la musica erano smaniose di evadere dal
cerchio della consuetudine che le mortificava e le appiattiva”. Inoltre: “nei primi
anni del Novecento, le avanguardie europee Futurismo, Dadaismo, Surrealismo ed
Espressionismo esplosero con lo scopo di frangere gli ostacoli che si
sovrapponevano al libero e genuino sbocciare delle intuizioni e dei
sentimenti”. I cambiamenti avutisi nei rapporti dell’uomo con quanto lo
circonda gettano le basi di nuovi e diversi codici artistici. È questa un’epoca
in cui comincia a consolidarsi un comune spirito antiborghese, cosicchè molti
si trovano schierati su posizioni di tipo anarchico e rivoluzionario. Sorge
quindi una grande letteratura che mette in risalto una coscienza dello
squilibrio e che turba la sicurezza dell’individuo e della società scavando
fino in fondo nei risvolti più segreti dell’uomo. In questo contesto si
inserisce il dramma di F. Bruno che evidenzia delle personalità che
rispecchiano le sofferenze dell’uomo moderno. Anche la musica, il cinema, il
teatro e varie forme di spettacolo e generi artistici sono influenzati da
queste tendenze. Il dramma La sola stella
rispecchia i cambiamenti dell’uomo moderno che soffre di solitudine
demoralizzante, angosciosa, intollerabile come il freddo atroce di un inverno
che non finisce mai. È questo il periodo in cui si afferma la psicoanalisi di
Freud in grado di spiegare alcuni comportamenti dell’uomo, ma è anche il
momento in cui prende forma una nuova tendenza culturale a Zurigo, nella
Svizzera neutrale alla vigilia della prima guerra mondiale: è il Dadaismo che
interessa le arti visive, la letteratura e la grafica. Stravolge gli standard
dell’epoca ed enfatizza la stravaganza e l’umorismo. È nel Dadaismo che il
nostro letterato si riconosce perché come i Dada è stato un accanito pacifista;
l’altro elemento che accomuna il nostro artista ai dada è l’assoluta
originalità della sua opera. Quando il Dadaismo scompare, infatti a breve nasce
il Surrealismo in Francia per iniziativa di Andrè Breton, movimento che
proponendo nuove forme di esperienza anch’ esse opposte alla logica borghese,
arriva a scoprire nuovi territori dell’umano. In questo movimento infatti
dominano il sogno, la magia, l’erotismo, il fantastico e tutto ciò che tende a
mirare ad un cambiamento di vita. È nell’ ambito di questo particolare filone
artistico e letterario che Francesco Bruno elabora la sua rappresentazione
drammatica intitolata La sola stella.
Il testo autografo dell’atto unico viene trovato nel 2000 a Napoli nella casa
di Francesco Bruno ed è stato scritto ad Ascea. Il figlio dell’autore Elio Bruno
ne “L’Antiquario e la consorte” testimonia che i fogli di questo dramma, ritrovati
ingialliti per il lungo tempo trascorso non presentano nè correzioni nè
cancellature. Nella prima scena è narrato un episodio accaduto che regge la
successiva impalcatura fra temi sociali e il protagonista è Giuseppe Marino che
nel dramma diventerà Armando, amico fraterno di Bruno. Il dramma nasce sotto il
segno del realismo e il percorso realistico si rifà ad una realtà osservata e
descritta. In questo atto unico vengono infatti descritte la vita quotidiana,
le disavventure, le aspirazioni e le passioni dei suoi personaggi. Il
sentimento è un tema centrale che si manifesta sotto forma sia di amicizia che di
amore. La sola stella presenta le
caratteristiche del dramma borghese sviluppatosi in Europa tra il diciottesimo
e il diciannovesimo secolo, allo scopo di descrivere tragedie domestiche e vicissitudini
di personaggi non più eroici come accadeva in passato. In quest’ opera si
delineano cinque personaggi: Aurelio Vicini, zio Renato Vicini nipote, Armando
Benizzi amico fraterno di Renato, Elena, e Maria la domestica. Lo stesso autore
dichiara che l’azione si sviluppa “in un villaggio di campagna, in una giornata
chiara di ottobre”. La scena prende forma con la descrizione di “un'ampia
stanza - lo studio di Renato - dalle pareti bianchissime, con due porte di
entrata, alcune sedie, un tavolo su cui sono lasciati in disordine diversi
libri e giornali, e una scrivania in un angolo con uno scaffale di volumi”. La
descrizione dell’ambiente interno con scrivania, libri… è tipico di F. Bruno
perché lui ha amato molto i libri perché istruivano ed educavano. Infatti
cultura e istruzione sono stati i punti fermi del suo pensiero. In quella
“giornata di ottobre, fresca e cristallina il sole riflette la sua luce in
tutta la stanza”; un'annotazione che allude alla pioggia pregressa: “dal
giardino sale un odore di fogliame putrefatto nell’acqua e rende l’aria più
grave e pesante”. Probabilmente la descrizione dell’ambiente esterno nella
stagione autunnale è tipicamente asceoto ed io vivendo in paese ho la possibilità
di godere lo scorrere delle varie stagioni con i loro colori e i loro profumi.
In questo clima non possono non risaltare le differenze esteriori e
caratteriali dei due personaggi Armando e Renato. È in questa giornata, con
quel forte raggio di sole, che rappresenta la speranza che Armando Benizzi
comunica al suo amico Renato la lieta notizia della sua partenza: “Devo
partire, capisci, ritornare a Roma, alla mia Roma sognata, amata in silenzio”. Probabilmente
è nella pioggia pregressa che invece si riflette il malessere di Renato unito
alla sua incapacità di lasciare l’ambiente ostile nel quale rimane
imprigionato. Armando Benizzi era stato un ufficiale e ricevendo una proposta
lavorativa dal ministero, ora si dice pronto a partire per Roma. Questo giovane
calmo e sorridente, bruno e di piccola statura indossa un abito nero e si
presenta alquanto signorile nell’aspetto e nei movimenti. Il suo sogno che si
realizza nel suo momento della partenza è volto ad un cambiamento di vita; ad
una vita che immagina possa essere diversa da quella condotta in un piccolo
paese di provincia, una vita monotona, noiosa, a volte pesante. Armando
rappresenta l’incarnazione del nuovo e di un sogno agognato che diviene realtà.
Egli è un giovane dinamico e intraprendente, pieno di vita e molto ricercato. In
particolare legato a Renato da un sentimento di amicizia fraterna; ”E tu, Renato,
verrai con me, staremo insieme, lavoreremo, lotteremo insieme...” Renato
Vicini, giovanissimo anche lui, è alto, pallido, dall aspetto stanco e pensoso.
Indossa un abito chiaro, un po’ vecchio e sdrucito, senza cravatta e con i
capelli lunghi e in disordine. Già dall’abbigliamento si possono notare le
differenze tra questi due giovani amici. Renato, diversamente da Armando, appare
trasandato esteriormente, oltre che spento spiritualmente. Sin dall’inizio
della scena lamenta una voglia di dormire: ”E' un rimedio efficace al mio
male”, confessa ad Armando. Inoltre, appresa la notizia dell’imminente partenza
dell’amico non tarda a manifestare il suo distacco; “aspettavo anch’ io una
volta... ora sono un altro: non meravigliarti; la vita è fatta di queste
altalene!” Eppure Armando fatica a capire la decisione che Renato sembra aver
preso: ”Ma non comprendo! Un mese fa parlavamo... del nostro destino, dei
nostri giorni inutilmente spesi in questa solitudine... ora che questa
possibilità... potrebbe essere realtà… cerchi di sfuggire alle promesse di un
tempo”. In questo confronto con l’amico Renato riesce man mano a palesare il
suo dramma interiore: ”... io ho qui, nel cuore, nel cervello, qualche cosa che
pesa, urla disperatamente!”. Fu in quel tempo che io avvertivo di essere attratto
da mia cugina Elena...”. Armando ascolta quello che il suo amico vuol dirgli, gli
sta accanto, cerca di sorreggerlo e di trovar parole di incoraggiamento e
stimoli che possano aiutarlo a reagire al suo stato di solitudine e di
abbandono. Nel sentir tali parole, rimane sbigottito. Forse il sentimento che
il suo amico nutre per Elena, sua cugina, è una conseguenza dell’ incapacità di
Renato di cercare nella sua vita altre distrazioni! In fondo i due giovani si
sono trovati spesso a vagare in fantasticherie giovanili, immaginando come
sarebbe stata la vita in città. “Ricordi quando volevamo crearci in noi l’illusione
di vivere diversamente, e ci foggiavamo nella fantasia un’altra esistenza quasi
per pregustare la gioia di un soggiorno più umano?“ Qui si pone l’accento sulla
parola illusione, quelle illusioni che avevano caratterizzato Foscolo, ma anche
Leopardi con la sua giovinezza trascorsa, ma non vissuta. Per questo poeta i
giovani, in fondo, sono lusingati proprio da quelle illusioni che li legano
alla speranza di un futuro felice, ma la triste realtà è che quei sogni si
muteranno in amarezza come si evince dagli Idilli leopardiani. È in questo
ambiente montano, di provincia che la frustrazione dei due giovani sembra
accentuarsi, ma Armando con decisione da una svolta alla sua vita. È tra fine
800 e inizio 900, del resto che si riscontrano gli effetti della seconda
rivoluzione industriale con il fenomeno dell’urbanizzazione e che trova il suo
riscontro anche nella vita dello stesso autore. Lui nasce ad Ascea, ma vive per
lo più a Napoli, pur amando il suo paese, ipotizza una impossibilità di
progresso che proprio durante i suoi frequenti ritorni ad Ascea, sembra toccar
sempre più con mano. Probabilmente in Armando si cela proprio il nostro critico
che con decisione e forza abbandona il suo paese e si rifugia in città. C' è
tuttavia un movimento filosofico e culturale da tenere in considerazione: il
Positivismo. Auguste Comte nel 1852 ideava il motto: ”L'amore per principio, l’ordine
per fondamento, il progresso per fine”. D’ altro canto questa corrente di
pensiero inneggia al progresso prodotto dall’incessante sviluppo scientifico e
tecnico e non guarda ai vinti, ma ai vincitori. Tornando all’ ambiente chiuso e
privo di progresso in cui i due giovani vivono è proprio questo a risvegliare
in loro sogni, illusioni e paure e se in Armando si riscontra la voglia di
credere in un futuro migliore in Renato si manifesta piuttosto il timore di una
vita controcorrente. In lui, d’ altra parte è presente anche una tremenda
angoscia dettata dall’amore che nutre nei riguardi di Elena. “Ella era
inchiodata sulla sua sedia paralitica da diversi anni, ma sempre bella come
nessun altra donna di mia conoscenza. Spesso le leggevo dei romanzi e rimanevo
solo con lei. Qualche volta pensavo ai nostri discorsi e al nostro domani e già
sentivo di ammalarmi del male che in poco tempo doveva debellarmi”. “La vedevo
così e mi sembrava che ella mi sorridesse, mi offrisse la sua bocca...” Renato
si fa sempre più pallido...”E' orribile, orribile! Sono un mostro!” In queste
parole e atteggiamenti sono presenti due donne: la donna “angelo” del Dolce
Stil Novo, quella donna di Dante, Petrarca, della scuola siciliana e toscana in
grado di “guarire” le ferite dell’uomo e quella donna moderna che incarna
l’amore materiale. A questo punto compare Aurelio Vicini, zio di Renato e di
Elena. Lui è un uomo alto, vecchio, dalla chioma inargentata e dal volto
scialbo vestito di un pesante abito da casa. Ha uno sguardo spento; quasi indifferente:
”Credevo foste già usciti con questa giornata piena di sole”, rivolgendosi ai
due giovani. Aurelio è stato un militare in guerra e dai suoi discorsi si
evince un’insoddisfazione di fondo causata dalla sua vita statica. Lui, che è
rimasto bloccato fra quei monti, incarna, in questo dramma, l’ennesima figura
sopraffatta dalla solitudine, dalla paura e dai sogni andati in frantumi.
Aurelio ingloba quindi le caratteristiche dei due amici e nelle loro giovani
vite riflette la sua voglia di rivendicare una fuga dall’ ambiente in cui ha
vissuto che, come lui stesso racconta, non ha mai avuto luogo. ”Siete giovani
ora, e dovreste cercare di esserlo sul serio, ve lo dico io! Qui c’ è poco da
sognare: qui si sfiorisce prima di fiorire. Anch' io sono stato giovane, ma
solo di nome. Forse è destino della mia famiglia: pure mio padre, mio nonno, vissero
cosi!” E incalza: ”E' bene che fuggiate, se no... non vedete il mio esempio? Sono
un uomo finito, io, e proprio per essere rimasto bloccato fra questi monti... Dovete
fuggire, Armando, Renato, andare lontano”. E’ costui il tipico uomo della
provincia, il “signorotto”, il saggio ancorato a vecchi valori, è colui che
vive nei ricordi legati alla sua carriera militare e che lo aiutano a
sopravvivere quando è in preda all’angoscia e alla solitudine, ma è anche
l’individuo dalla doppia personalità perché rappresenta un’epoca di
transizione: il passaggio da una società agricola della quale rappresenta le
caratteristiche ad una società industriale della quale incarna alcuni aspetti. Nel
frattempo i due giovani si ritirano per la porta laterale, e dietro la porta di
mezzo si sente la voce chiara e squillante di Elena: ‘’Zio, si può entrare?” Questa
giovane ragazza paralitica, vestita di nero, è molto attraente ed ha due occhi
bellissimi ed una faccia alquanto sciupata e velata di un pallore appena
visibile. Sin dall’inizio della sua comparsa è facile ravvisare in lei uno
smisurato desiderio di cultura. Elena, oltre ad essere bella è anche
intelligente: ”Voglio leggere solamente: voglio prendere d’assalto il libro.
Vedi? È nuovo: è un romanzo di Grazia Deledda. Dicono tanto bene di questa
scrittrice”. In effetti anche nella realtà Francesco Bruno è mosso dalla stima
nei riguardi di costei, infatti è a lei che consacra la sua prima monografia in
Italia. Aurelio Vicini che ha di fronte sua nipote commenta. “Ai miei tempi le
donne non sapevano leggere: ora il mondo è migliorato”. Elena riprende: “Tra
poco le donne andranno anche a votare e prenderanno parte attiva nella società.
La civiltà, il progresso, caro zio!” Sono qui di fronte due personalità del
tutto contrapposte: Elena, incarnazione del progresso e dell'evoluzione, Aurelio
testimone di una società agricola all’ interno della quale la donna non occupa
che un ruolo subalterno. Non si può, a tal proposito non evidenziare come
attraverso le sue capacità Francesco Bruno riconfermi il suo sapere e saper essere
anche scrittore di donne, quelle donne che lui vede e descrive nei loro aspetti
più intimi e nella loro condizione sociale. Ne La sola stella oltre ad Elena compare anche un’altra figura
femminile: Maria la domestica che, diversamente dalla sua padrona simboleggia l’immagine
della donna del Sud in quel periodo, una ragazza ignorante: ‘’Invece noi non
sappiamo leggere in nessun libro: voi, signorina, siete istruita e leggete in
tutti i libri”. Maria si presenta vestita con uno stretto camice bianco e con
un fazzoletto che le copre i capelli e le scende fin sopra gli occhi alquanto
piccoli e inquieti. Tuttavia, quello di Elena e Maria risulta essere un rapporto
fondato sull’amore e sul rispetto reciproco. Maria incarna i valori veri della
donna asceota: amore, rispetto e devozione verso la sua padrona che lei tanto
ama ed ammira. Maria lascia la stanza in cui Elena è immersa nella sua lettura,
ma dopo pochi minuti Renato le fa visita ‘’Elena! Vedo che tu vorresti evitare
la mia presenza, e sei già emozionata... Elena, Elena, voglio che tu mi dia
ascolto, che mi comprenda, ora! Elena, Elena, voglio che tu sia la mia
liberazione.” Elena ha paura e vuole andar via, ma Renato è oramai fortemente
spinto dal desiderio di esternarle i suoi sentimenti, non si ferma e continua
ad incalzare: ”La sola stella d' allora, che mi suscitò tanto desiderio, ma per
cui non sentivo nulla di veramente profondo. Nulla perchè io sono legnoso, insensibile
a tutto e non ho mai amato nessuno. Dopo piansi quando raffigurai te, Elena in
quella stella.” Adesso Elena… è commossa nell’ascoltar quelle parole e sembra
che sul suo volto sia impresso tutto il suo dolore e amore di donna: ‘’Perchè
ricordare?” reclama; e Renato: ”Perchè nel ricordo è il brivido di tutte le
passioni umane... perchè nel ricordo, Elena, è la luce del nostro passato, di
grandezza o di vergogna, e per essi possiamo inorgoglirci o riabilitarci se non
sia troppo tardi.” È chiaro che Francesco Bruno intende evitare un realismo
fine a se stesso e la sua scelta che lo indirizza verso una strada diversa - quella
del ricordo - è la conferma del suo percorso. È a questo punto che da parte
dell’autore scaturisce il suo intento di mescolare le carte della realtà e
della fantasia valorizzando il ricordo e con esso il sogno. Non a caso F. Bruno
sostiene la necessità di rileggere buona parte della letteratura meridionale in
chiave onirica e surreale. Il dramma prosegue con l’entrata di Maria che
avvicinandosi alla sua padrona la porta via. Renato intanto resta immobile, ma
col passare dei minuti si rasserena. La porta laterale si apre ed ecco di nuovo
che compare Armando, ‘’Ero inquieto per te, per la tua salute...” E Renato: ”Volevo
dire che forse partirò anch’ io”. Ma i dubbi cominciano ad occupargli la mente.
‘’E se non saprò vivere fuori del mio mondo?” Armando intanto è deciso: ”Senti,
Renato, io partirò frattanto per non perder tempo e tu cercherai di cambiarti.
Poi mi scriverai”. E Renato:”Ma dimmi, Armando, a Roma ci sono donne da amare? E
si riesce ad amare?” Ma certo: tante donne che si fanno amare, ma ora devo
lasciarti… Armando si alza e guarda il suo amico, lo abbraccia e gli dice: “ci
rivedremo a Roma, non è vero? Verrai anche tu, mio caro e allora saremo felici
insieme...” Renato conclude: “Armando senti non verrò mai a Roma... perchè qui
ci sono donne che si fanno amare!” Lo scoglio a cui è ancorata l’ostrica di
Verga era nient’altro che il mondo occupato dai suoi personaggi; un mondo di
pena, ma sorretto da valori autentici come la religione della famiglia e il
senso del dovere è riconducibile alla condizione economica e sociale a cui è
ancorato l'uomo e non se ne può distaccare. L'ideale dell'ostrica scaturisce
proprio dal “tenace attaccamento di quei poveri sventurati allo scoglio sul
quale la fortuna li ha lasciati cadere”, un ideale che se tradito per curiosità
di conoscere il mondo porta alla sconfitta. Nei Malavoglia Lia ed il giovane
“Ntoni che si sono staccati da quello scoglio perché attratti dall’ ignoto o
per desiderio di meglio sono stati ingoiati dal mondo. L’ ostrica si è quindi
staccata dallo scoglio e” Ntoni ha tradito l'etica familiare fatta di
rassegnazione. L'ingranaggio sociale ed economico non consente cambiamenti di
rotta, così chi decide di andare controcorrente per Verga non è altro che un
vinto. Il personaggio di Armando nella La
sola stella è colui il quale si illude “leopardianamente” di andare
incontro ad un destino migliore. In fondo il suo distacco dallo scoglio
rappresenta per lui l'inizio di una vita diversa, ma per dirlo nella maniera
verghiana Armando non è che un vinto e se tra i due giovani personaggi del
dramma vi è un vincitore questo è proprio Renato. La sola stella che Renato osserva rappresenta solo un valido motivo
per non distaccarsi dall'ambiente in cui vive. “La sola stella” Elena - è lo
scoglio a cui l'ostrica “Renato” rimane ancorato. Francesco Bruno si spegne a
Napoli nel 1982 invocando i suoi familiari, la scogliera del suo paese e la
macchia verde della campagna e degli ulivi saraceni; il suo scoglio Ascea
conserverà sempre un posto nel suo cuore, pur spostandosi di lì per seguire le
sue inclinazioni e attraverso queste per conoscere il progresso che lui ha
sempre inseguito.
Oggi il
suo dramma dal titolo La sola stella
lo immagino rappresentato in televisione in forma di fiction ambientata negli
anni ‘20 in un piccolo paese collinare come Ascea che specialmente di sera
sembra un presepe al cospetto di un pubblico che avendo conosciuto ed assistito
ad un sempre maggiore progresso con la relativa perdita di valori ricorda con nostalgia gli anni ‘20. Con questa
storia certamente ritorneremo alla televisione di un tempo quando la RAI ha
svolto un ruolo educativo ed istruttivo sugli italiani che erano appena usciti
da una delle pagine più scure della nostra storia. Gli stessi telefilm che
avevano accompagnato tante ore passate dai nostri genitori davanti alla TV sono
finiti nel dimenticatoio per dare spazio a programmi televisivi scadenti, anzi
direi di pessima qualità. Oggi grazie al digitale terrestre tanti show
leggendari sono ritornati in onda riuscendo ad attirare anche il pubblico dei
più giovani. Quindi La sola stella con
i suoi contenuti forti e profondi potrebbe attrarre un vasto pubblico, avere
successo, stimolare la nostra immaginazione, fantasia, riflessione e farci
riamare di nuovo la TV. Ora riapro la finestra della mia camera, guardo il mare
e penso al progresso, alla scienza, alla tecnologia, alle nuove scoperte e mi
chiedo: qual'è la sola stella da inseguire?
Jacopo Di Stefano
2°
classificato
Provate a chiudere gli occhi, provate ad immaginare un cielo
stellato. In questo cielo ci saranno miliardi e miliardi di stelle, ma solo una
brillerà davvero e sarà la vostra stella. Così, molto probabilmente accadde a
F. Bruno il nostro critico letterario, giornalista e scrittore italiano tra i
più originali del Novecento quando compose il dramma La sola Stella. Io, ancora giovane e inesperto mi pongo delle
domande. Chi è in realtà quella stella? Che cosa rappresenta? Penso che dietro
le cinque punte della luminosa stella si possa nascondere una donna, una
ragazza o perché no, una bambina. Il dramma si inserisce tra tre epoche
artistiche: Dadaismo, Surrealismo e Futurismo. La storia si sviluppa in un
villaggio di campagna, in una giornata chiara di ottobre, in un giorno fresco e
cristallino con il raggio di sole che illumina la stanza. Mi ricordo a questo
proposito una citazione di San Francesco d’Assisi che può chiarire il
significato di questo raggio di sole “Un raggio di sole è sufficiente per
spazzare via molte ombre”. Dal giardino poi della casa, saliva un odore di
fogliame putrefatto nell’acqua e rendeva l’aria più grave e pesante… Anche la
descrizione di questo piccolo quadretto naturale secondo me rappresenta Ascea
nel periodo autunnale e probabilmente il giardino di casa Bruno; quel giardino
immagino anche fonte di ispirazione dietro l’abitazione del nostro letterato,
quel giardino con quella pianta di melograno che lui amava tanto e che a me fa
venire in mente Carducci con la poesia “Pianto antico” dedicata al figlioletto
Dante. Non voglio nominare la parola morte perché mi fa paura e chi leggerà
queste mie parole capirà perché. Posso immaginare quante volte i figlioli del
mio illustre conterraneo avranno teso la mano come il piccolo Dante per
afferrare al volo una melagrana! Il primo personaggio presentato è Armando
Benizzi: giovane, bruno, pieno di vita. Vestiva spesso di nero ed era alquanto
ricercato e signorile nell’aspetto e nei movimenti con cui incede e si
presenta. Era sempre calmo e sorridente, soprattutto quel giorno che il direttore
generale del Ministero di Roma lo chiamò per farlo partire ed avere un nuovo
lavoro, ”un posto nel mondo”, come diceva lui. Era contentissimo di poter
vivere nella sua amata e sognata Roma. Non altrettanto felice della notizia era
l’amico: Renato Vicini, giovanissimo, alto e pallido con un aspetto assai
stanco e pensoso. Vestiva negligentemente abiti chiari, senza cravatta e con
capelli lunghissimi in disordine. Renato era allettato in un primo momento
dall’idea di partire insieme ad Armando, ma in un secondo momento sembrava
contrario. Era felice per l’opportunità concessa all’amico, ma gli disse
esplicitamente che in passato aveva sognato di evadere, ma adesso non lo
desiderava più. I due giovani vennero anche incoraggiati a partire dallo zio
Aurelio Vicini “È bene che fuggiate... Sono un uomo finito, io, e proprio per
essere rimasto bloccato fra questi monti… Dovete fuggire ... andare lontano…”
Aurelio: “vecchio alto e sparuto, dalla chioma ancora larga e inargentata, dal
volto scialbo e aggrinzito”. Vestiva con un abito “da casa, giallognolo e
rattoppato, col collo fasciato da una cravatta larga...; cammina, spesso e
piano, con le mani in tasca e guarda all’intorno con uno sguardo smorto e
indifferente”. In costui si riflettono vari aspetti dell’uomo moderno
contemporaneo: la solitudine, le illusioni, i sogni andati in fumo. In questi
personaggi come nell’intera opera ritroviamo alcuni ideali di Moravia: la
descrizione del mondo borghese, del quale coglie lo sfacelo morale, il
dissolversi dei valori, l’ipocrisia e la menzogna. Il romanzo Gli indifferenti ha una impostazione
teatrale, proprio come questa opera perché ci sono pochi personaggi; infatti
l’azione si incentra su quattro figure principali: Mariagrazia, Carla, Leo e
Michele. Inoltre si riflette in varie parti del dramma di F. Bruno la tematica
della ”Noia” romanzo dello stesso Moravia nel quale l’individuo non riesce a
stabilire dei rapporti positivi con le cose. Aurelio afferma che ora ci sono
troppe fantasticherie giovanili e pensieri sbandati, dispersi da ventate di
tempesta. Ricorda la sua giovinezza trascorsa, ma mai vissuta pienamente. In
questa affermazione si riflette il sentimento “Gli anni perduti” di Vitaliano
Brancati in cui rievoca la vita provinciale di una città del Sud (Catania) nella
quale i personaggi vivono in un clima opprimente di noia e di vuoto. Armando è
contento di poter lasciare, finalmente, le mura domestiche, di non guardare più
questi squallidi paesaggi, ma di ammirare cose nuove, però è preoccupato per la
salute dell’amico, che sembra sempre più preoccupato per qualcosa. Il giovane
Armando secondo me può essere paragonato allo stesso F. Bruno che stanco, ma
direi piuttosto deluso perché era evidente un divario fra Nord Sud, ma anche
una differenza tra città e paese della stessa regione; quel progresso
economico, culturale, sociale sempre sognato non è mai arrivato nel suo amato
paese “Dolce paese onde portai conforme l'abito fiero e lo
sdegnoso canto… Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano…”. Ancora una
volta significativi sono i versi di Carducci che meglio di me esprimono tali
sentimenti. Quindi non resta altro che abbandonare il borgo natio e partire, ma
ritornarci spesso per poter ammirare le bellezze naturali fonti di ispirazione
e di tranquillità.
Sicuramente Armando è combattuto: vuole partire, ma non vuole
neanche lasciare solo l’amico, in preda alla sua malattia. L’amicizia è profonda
tanto che Renato gli confida che è innamorato della cugina Elena, una ragazza
paralitica che giace su una sedia a rotelle. Vestita di nero, Elena, è corretta
e attraente nell’aspetto; ha gli occhi bellissimi che brillano in due orbite
larghe e lievemente cerchiate di nero... Ha la faccia alquanto sciupata e
languidamente velata d’un pallore appena visibile. Una ragazza caratterizzata
da dolcezza e intelligenza. Questa è la stella di Francesco Bruno e in questa
stella ha proiettato i suoi ideali. Lui sosteneva che l’istruzione doveva
abbracciare tutti i ceti sociali: ricchi e poveri, maschi e femmine ed Elena
non a caso è una ragazza intelligente e istruita. Sulla scena la ragazza, era
seduta su una bassa sedia con braccioli e con la mano destra teneva il
bracciolo che metteva in moto la sedia. Perché F. Bruno ci presenta Elena
paralitica? Ho pensato che Elena è così rappresentata per far riferimento a
quel suo angelo volato in cielo. Elena che non ha potuto vivere la giovinezza
come dovuto. La ragazza, intanto leggeva un libro della sua scrittrice
preferita: Grazia Deledda, scrittrice molto cara a Francesco Bruno. Poi c’è
Maria, la domestica, “ragazza molto svelta e bruttina, rinchiusa in uno stretto
camice bianco con un fazzoletto che le nasconde i capelli e le scende fin sopra
gli occhi piccolissimi e inquieti”. È la tipica ragazza del paese: analfabeta,
ma nella sfortuna fortunata perché ha la possibilità di vivere con Elena, si
sottrae anche al duro lavoro della terra perché in quel periodo i ragazzi e le
ragazze in tenera età venivano utilizzati come forza lavoro. Maria però è
portatrice di valori, sono anche i valori del mondo contadino: spontaneità,
autenticità, amore, rispetto e devozione. Per questi sani valori Elena ha un
rapporto forte con Maria nonostante le evidenti differenze culturali. F. Bruno
in questo personaggio evidenzia il volto malato del Sud: analfabetismo, miseria,
sottosviluppo. Renato alla fine facendosi coraggio, anche se pallidissimo,
spettrale, con i capelli che gli scendevano sulla fronte, aperti e disordinati
confida ad Elena i suoi sentimenti. Come una pecora smarrita dal gregge, alla
fine implora Elena di perdonarlo. Afferma di essere innocuo, di essere solo un
povero malato che insegue la sua ombra e il suo destino. Il giovane richiama
alla mente anche il ricordo di quando si accorse della “luce” che emanava
Elena, la sua sola stella. Lei, spaventata, non vuole ascoltare le sue parole,
che scorrono come l’acqua dentro il mare. Prova a far ragionare Renato,
spiegandogli che quelle parole che escono dalla sua bocca non significano nulla
e che lei desidera vederlo in futuro solo come un fratello, se vorrà. Intanto
le parole della ragazza sono spezzate, cosi come il cuore del giovane, che
abbattuto si lascia cadere su una sedia, dall’arrivo di Maria. Allora Renato,
afflitto senza riflettere, come se avesse un’ascia conficcata nel cuore, decide
di cambiare idea, prende in considerazione di andare a Roma con l’amico.
Probabilmente lo fa solo per provare a dissolvere i suoi fitti e tanti pensieri
rivolti a Elena, la fonte del suo male. Fatto sta che Armando gioisce per poco
all’idea dell’amico di partire con lui, perché alla fine Renato non partirà per
stare vicino a Elena, per guardarla, per pensarla e perché lei è una donna che
si lascia amare in silenzio. Armando realizza il suo sogno, lasciare le mura
domestiche, ma anche Renato avvera il suo sogno, stare vicino a Elena, ovvero
l’unica cosa che desidera. Un finale un po’ a sorpresa, ma Renato sicuramente è
un sopravvissuto.
Il dramma è sicuramente ben articolato, con descrizioni
perfette, ben scritto e che riesce a suscitare diverse emozioni, riflessioni e
pensieri, ma durante lo studio anche una certa suspence. Metterlo in scena o
trasformato in un film sarebbe il massimo. Francesco Bruno ha scritto il dramma
nel 1923, all’epoca del Dadaismo e agli allori del Surrealismo, ma in quel
periodo si stava svolgendo una battaglia che porterà dalla compagnia girovaga
che ha come centro il grande attore-mattatore a una compagnia stabile che ha
come principale esponente il regista. Era anche il periodo in cui l’Italia
stava realizzando lentamente il passaggio dalla società agricola a quella
industriale: è stato questo un processo lento come lento è il processo che
porterà all’affermazione del teatro del regista. Quindi in quel periodo secondo
me era difficile presentare questo dramma perché il teatro era agli albori. Il
teatro è un’industria che deve rispondere come tutte le industrie alla legge
della domanda e dell’offerta. Questo scritto teatrale è la parte viva del
teatro e può fare da padrone perché è un testo completo e intorno ad esso
devono ruotare gli attori, luci, scenografie, musiche … Oggi come potrebbe
essere la reazione delle persone alla vista di tale dramma? Ci saranno
recensioni negative e positive, ma per chi ne capirà davvero il significato
vero sarà istruttivo. Forse anche per coloro che non lo comprenderanno a pieno
potrà essere positivo. F. Bruno nella trama di questo dramma ha inciso
intelligenza, saggezza e conoscenza; io con tanto impegno ho cercato di
apprendere, ma la cosa più bella è che porterò sempre con me F. Bruno perché mi
ha appassionato.
Benedetta Vasile
3° classificato
Francesco Bruno é stato un
giornalista, critico letterario, scrittore cilentano trapiantato a Napoli, tra
i più originali del Novecento. Ha fondato e diretto settimanali e periodici
culturali, ha lavorato per le maggiori testate giornalistiche, ha scritto
poesie e volumi di narrativa che hanno avuto come luogo immaginativo Ascea e il
Cilento.
È stato un intellettuale
libero che ha raccontato la storia di uomini e donne cilentani che
rappresentano e difendono il fascino di una terra antica di filosofi e poeti
greci che rivive nell'amore dello scrittore, che non ha mai dimenticato la sua
gente e le sue radici. Dalle sue opere emerge sempre la volontà di ricordare,
raccontare, rappresentare quegli scenari culturali di cui è ricco il Meridione.
Troviamo la presenza di un profondo realismo che permette a tutti di capire
quella cultura da dentro.
La sola stella che é un
racconto tratto dalle novelle "L'antiquario e la consorte" (inedito
pubblicato postumo dal figlio Elio Bruno con la postfazione del professore
Francesco d'Episcopo, nel 2001), rappresenta tutto questo: descrive e ricorda
la storia di uomini cilentani negli anni '20. É un dramma borghese che racconta
le vicende dolorose e i problemi esistenziali di due giovani di provincia; ne
descrive la vita quotidiana, i disagi e le aspirazioni. Due amici vedono
sfiorire la loro giovinezza fra le quattro mura della loro "infame
dimora", disprezzata perché non permette loro di conoscere la vita
tumultuosa e agitata della città. Hanno vissuto immaginando e desiderando
un'altra esistenza, una possibilità che però si presenta quando il giovane
Renato Vicini sta vivendo un profondo e disperato dramma interiore. Renato è un
giovane alto, dai capelli lunghi ma dall'aspetto pallido e stanco che riflette
il disagio che vive in quel momento. L'amico Armando Benizzi è anch'egli molto
giovane, piccolo di statura, bruno e pieno di vita. Veste in maniera ricercata
e signorile, già questo manifesta il suo entusiasmo e la volontà, condivisa un
tempo con l'amico Renato, di voler cambiare vita. Armando, che è stato
ufficiale di guerra qualche anno prima, è stato richiamato a Roma dal
Ministero, ma la proposta arriva quando l'amico vive il suo dramma. Anche lo
zio Aurelio Vicini incoraggia i due a fuggire da quei monti e da quei luoghi
solitari in cui anche i loro antenati hanno vissuto da eremiti. Lo zio è un
vecchio alto, dai capelli argentati e dal volto raggrinzito, con uno sguardo
senza vita e che rimpiange molto il fatto di essere sempre rimasto bloccato in
quella terra dove c'è poco da sognare, dove si sfiorisce ancor prima di
fiorire, dove si è giovani solo di nome. Invita ripetutamente i due amici a
cambiare vita perché Roma, città eterna ed immortale, li aspetta. Dal racconto
però emerge un male oscuro che uccide l'anima e i sogni: la solitudine. Una
vita spesa in solitudine e isolamento distrugge l'esistenza, per questo motivo
Renato ormai combattuto, invita più volte l'amico Armando a fuggire da solo. In
un posto diverso dove non ci si ammala perché non c'e' noia, dove la vita non é
castigata e il tempo non viene sprecato. I ripensamenti di Renato sono dovuti a
uno strano sentimento che l 'ha portato a sentirsi attratto dalla cugina Elena.
Una bella ragazza paralitica, dal corpo divenuto per questo agile e snello,
dall'aspetto sempre attraente e intelligente, con due occhi bellissimi e con
l'amore per la lettura e i romanzi. All'epoca erano poche le donne che sapevano
leggere, ma cominciavano ad avvicinarsi sempre di più alla vita pubblica e al progresso.
Infatti la storia ci insegna che questo desiderio di conquista, di libertà e di
rinnovamento ha sempre sconvolto e agitato il mondo con le guerre. Diversa,
invece, è la figura di Maria, la cameriera di Elena, una ragazza “svelta e
bruttina con due occhi piccoli e inquieti”, che si sente una contadina sciocca
ma che conosce cose che non si imparano a scuola: la bontà e la umile
generosità di chi non sa leggere. Renato troverà sollievo e liberazione solo
quando la cugina Elena gli avrà concesso il suo perdono e lo avrà alleggerito
da quel pesante fardello. È oppresso da un'angoscia nel cuore perché in un
momento di malata solitudine e di smarrimento ha cercato la sua salvezza
seducendo la cugina per la quale non provava niente di veramente profondo, ma
che in quel momento ha rappresentato nella sua vita buia l'unica e sola luce
che brillava. La "sola stella" che ha suscitato tanto desiderio e poi
un atroce rimorso. Elena commossa riuscirà a perdonare nonostante il brivido
doloroso del ricordo del suo sacrificio. A volte inciampare nei ricordi serve a
trovare la ragione della nostra esistenza anche se il nostro passato
rappresenta vergogna e non solo grandezza, perché con un sincero pentimento,
"ogni colpa può trasformarsi in bellezza eroica''. Renato ricomincerà solo
così a valutare la possibilità di raggiungere l'amico a Roma perché ''ovunque è
mondo: basta saperlo immaginare''.
Questo racconto è stato
scritto all'inizio del Novecento, ma il lettore di oggi potrebbe sentirlo molto
vicino perché è un argomento molto attuale che coinvolge gran parte dei giovani
che, presi dalla noia e dalla solitudine, compiono atti insensati che possono
nuocere solo a se stessi. Questo è un intreccio normativo destinato sicuramente
alla rappresentazione teatrale, a un pubblico ancora oggi capace di capire il
dramma interiore suscitato dai rimorsi, la capacità di chiedere perdono e di
perdonare, i sogni giovanili di evasione e di libertà e la lotta perenne contro
il male della noia e dell'isolamento che uccide l'anima.