Sovan Petru
Bogdan
1° CLASSIFICATO
IL
DECADENTISMO DAGLI OCCHI DI FRANCESCO BRUNO
Colpito e
affascinato dal successo – in campo letterario – del mio concittadino, vorrei
soffermarmi ad esprimere i miei punti di vista a riguardo della critica che Bruno
ha fatto sul Decadentismo; gradirei, in particolare, soffermarmi su uno dei più
noti esponenti di tale movimento letterario: Gabriele D’Annunzio. Inizialmente
vorrei citare delle note biografiche riguardanti il famoso critico, esprimendo
le mie considerazioni e quindi commentando il suo pensiero letterario e la sua
psicologia critica, per poi immergermi nell'argomento che il Bruno critica nel
suo libro Il Decadentismo in Italia e in
Europa, edito da 'Edizioni Scientifiche Italiane' nel 1998.
Francesco Bruno
nacque ad Ascea (provincia di Salerno) il 28 maggio del 1899 da Gennaro e
Giuseppina Battagliese.
Primo di cinque
figli, aveva una vocazione letteraria molto intensa sin da bambino: era
particolarmente interessato alla rivista “I Diritti della Scuola”, a cui la sua
maestra, Elodia, era abbonata. Notiamo, quindi, che Francesco amava molto un
genere che trattava la democrazia (diritti) e penso che proprio leggendo queste
riviste il nostro concittadino abbia accumulato una conoscenza a 360 gradi, in
quanto, leggendo e approfondendo ogni particolare, riuscì a diventare un uomo
molto, ma molto colto. E questo ce lo dimostra la sua preparazione letteraria
in tutti i campi artistici.
La sua maestra,
in quarta elementare, gli aveva detto che un giorno avrebbe scritto su “I
Diritti della Scuola”, e la predizione della sig.ra Elodia si avverò: agli
inizi degli anni trenta il direttore della rivista, Annibale Tona, colpito
dalla preparazione di Bruno, decise di invitarlo a collaborare al periodico e
così, fra il 1935 e il 1936, il nostro concittadino pubblicò nella rivista il
primo manoscritto (“Qualcuno bussa alla porta”) della Morante.
Il 30 luglio
sposò a Salerno Ida Buonanno, dalla quale ebbe Giuseppina (Pinuccia per i
familiari) ed Elio.
Nel 1924 Bruno
pubblicò presso Raffaello Beraglia (editore salernitano) il suo primo libro:
una silloge di racconti, ispirata al contrasto tra Bene e Male.
Da quell'anno
gli editori e i direttori dei giornali più famosi ('Il
Mattino', 'Roma', 'Il Tempo', 'L'Avanti') richiesero la collaborazione del
nostro critico, ma Bruno rifiutò di collaborare con i periodici socialisti
perché si riteneva 'incapace' di criticare la politica dei parlamentari. Io
penso, invece, che voleva semplicemente 'farsi i fatti suoi' e non voleva
attirare anche l'attenzione dei politici. In quegli anni la stampa era
abbastanza limitata per quanto riguarda la censura politica e posso quindi
affermare che ammiro la scelta fatta da Bruno.
Si
spense all'ospedale Cardarelli di Napoli il 20 novembre 1982 invocando i suoi
familiari, la scogliera del suo paese, la macchia verde della campagna e degli
ulivi saraceni, che avevano fatto da sfondo al suo romanzo Paese di eriche e di ginestre. Gli era accanto il figlio Elio.
Era
un patriota, un amante della sua patria, della sua terra: ce l'aveva nel sangue
e si ispirò ad esse per conquistare il pubblico. Francesco Bruno è un esempio e
il suo animo raggruppa tutte le sfumature patriottiche di quegli anni.
La
sua è una critica molto semplice, comprensibile, ma nello stesso tempo ricca di
termini letterari: il suo era un linguaggio molto raffinato, ma, nello stesso
tempo accessibile, perché Bruno voleva che tutti potessero comprendere i suoi
articoli e le sue opere.
Era
un intellettuale umanista, di pensiero misto: egli si ispirava alle varie
correnti letterarie e ne creava una propria. Infatti notiamo che fra le tante
correnti letterarie criticate, Bruno non si limita solo ad usare il linguaggio
tipico che caratterizzava quel periodo, ma ne aggiungeva di suo, dando così
vita a un linguaggio molto fluido e lineare. Potremmo quindi parlare di
“brunismo” letterario se analizziamo da un punto di vista
linguistico-stilistico il contenuto delle sue opere.
Ammiro
questo suo modo di fare e, se dovessi paragonarmi a lui, penso che adotterei
anch'io un linguaggio molto diverso da quello usato nelle opere di quel periodo
commentato.
Francesco
Bruno è uno dei miei critici preferiti e proprio il suo linguaggio ha fatto sì
che mi fermassi ad analizzare e ad elaborare il suo concetto di “decadente”.
Il
Novecento si apre con una reazione alle forme e agli spiriti del secolo
precedente: gli scrittori abbandonano inconsapevolmente la poesia “romantica”
dell'Ottocento, e si dedicano al componimento di opere trattanti i bisogni dell'animo
umano. Si verifica quindi un passaggio dal “personale” ottocentesco
all'”universale” del nuovo secolo. La poetica si concentra quindi sui temi che
trattano le esigenze più profonde dell’animo umano, ignorate o trascurate dalla
scienza del tempo.
Nel
Novecento mutano anche i sentimenti e la sensibilità è considerata una “gelosia
shakespeariana”, una gelosia sentimentale che è perenne e rappresenta, per i
letterati novecenteschi, il modo di avvertire ed esprimere un determinato
sentimento. La gelosia può essere quindi amore, amicizia, odio, ecc. In tal
senso, Bruno scrive nel suo libro Novecento
Europeo che “l'arte stessa è originalità, perché legata all'elaborazione
individuale degli artisti”. Notiamo quindi che anche l'arte viene considerata
un sentimento “originale” nato dall'opera letterario-artistica di qualunque
persona. Infatti in questo periodo le varie figure letterarie provenivano non
da ceti molto alti, perché l'educazione era accessibile anche ai più poveri.
Ancora
notiamo che la poesia del primo Novecento è una poesia originale, ricca di
espressioni molto profonde, ma nello stesso tempo è una poesia che si ispira a
ideali fantastici e sensuali (estetismo letterario) e si basa principalmente su
fondamenti filosofici: infatti la poesia decadente è considerata una parte
della natura umana e, secondo i grandi pensatori, è composta dalle ansietà
dell'amore – in quanto rappresenta lo sfogo dei poeti – e si immedesima in una
verità, molto concreta per i filosofi, che opera in campo scientifico (positivismo).
Il
Decadentismo secondo Bruno va proposto come un momento di ricambio dei valori
etici ed estetici, come parabola storica e non in quanto circostanza deteriore
e negativa.
Questa
corrente letteraria si alterna tra situazioni di arte e di pensiero: si ha
quindi una visione diversa della vita in campo artistico e anche letterario.
Parlando
di 'creazione estetica' ci viene subito in mente la poetica dannunziana, una
poetica ricca di sensualismo, che esaltava angelicamente la bellezza femminile.
La poetica del D'Annunzio era ricca di vita e di estetismo: in un primo momento
era basata sugli ideali decadenti, ma data la crisi positivista, il poeta
abbandonò lo stile decadente e, ispirandosi all'estetismo inglese e al
materialismo americano, diede vita al panismo (da 'Pan', dio dei boschi). Il
panismo è l'immedesimarsi nella natura attraverso una metamorfosi: il
D'Annunzio considerava la natura un'entità viva, nella quale l'uomo e il mondo
si uniscono creando un unico elemento. E questo lo notiamo in “La pioggia nel
pineto”, poesia nella quale il poeta evoca la natura come se fosse parte di sé
stesso. Servendosi dell'estetismo, egli esalta la bellezza di Ermione (Eleonora
Duse, l'amante del poeta) in una forma molto sensuale.
Bruno,
nella sua critica, afferma che D'Annunzio va oltre i relitti naturalistici,
annidatisi nei suoi racconti, pervenendo ad un'opera sostenuta, molto
raffinata.
La
sua poetica ha un senso epico, leggendario della vita, che rende le opere
dell'autore eluse e molto aride, ricche di indagini psicologiche e ispirate a
passioni grezze e rudimentali.
Il
linguaggio utilizzato dal D'Annunzio è molto forbito e prezioso: il poeta
guarda la vita da letterato, con pieno distacco. Egli attua un'arte dall'arte,
con le sue ambizioni di cesellatore e aristocratico della parola: i suoi
personaggi si presentano in veste di uomini emancipati, al di là del Bene e del
Male.
D'Annunzio
si mescola con le cose circostanti, e la sua letteratura celebra un mondo
reale, non importa se di eletti e predestinati.
“Egli”
commenta Bruno “non è un poeta avulso dalla vita, anche se la vita gli si
configuri davanti sotto specie di essenza prelibata e superumana”.
Il
Decadentismo è caratterizzato, inoltre, da un'esigenza di allargare i limiti
della conoscenza, e Bruno vede questa 'esigenza' come un “potere di
esplorazione in ogni settore così del reale come dell'irreale”.
Ad
esempio, in campo artistico, la pittura francese – in particolare la pittura di
Mallarmé – spalancò un varco molto significativo. Si videro, con lui,
prospettate forme simboliche dilatate intorno a sfumature di luce
approssimativa, di penombre, con i loro chiaroscuri, i quali intendevano
effigiare sulle tele i motivi ipotetici del pomeriggio, che lasciava
intravedere gli ultimi spiragli del giorno prossimo del declino.
Continuando
a parlare dell'arte decadente francese, prendendo come esempio Baudelaire,
notiamo che la poesia si concentrava principalmente sull'inconnu (sconosciuto),
ossia su uno sconosciuto che contrassegnava il 'Male', recepito minimamente dai
poeti del passato.
E
intanto che la poesie dell'inconnu si diffondevano assieme al Simbolismo nel
resto dell'Europa influenzando l'animo dei poeti, si faceva strada, sempre più,
l'esperienza estetica non disgiunta dal controllo esercitato dal pensiero non
in atteggiamento concettuale e intellettualistico, “ma” commenta Bruno “come
componente essenziale del processo creativo, in cui la fantasia collabora con
la ragione, che è dentro, non al di sopra dell'animus inventivo”.
L'estetismo
si presentava quindi come un'esigenza naturale del mezzo espressivo, e si
ispirava alla sensualità concreta della bellezza fantastica e descriveva
quest'ultima con simmetria e 'perfezione'.
Ma
era un'illusione. Un'illusione, perché il Decadentismo non era altro che una
fase storica succeduta al Verismo. Ma il Verismo nasce sotto l'influenza del
positivismo, quindi si affidava completamente alla scienza e si abbandonava
alla teoria del 'progresso scientifico'; e dato che il Decadentismo è una
corrente letteraria succeduta al Verismo, possiamo affermare che anche
quest'ultimo aveva alla base principi positivisti. E proprio per questo
D'Annunzio abbandonerà questo movimento artistico-letterario e, ispirandosi
all'estetismo, al sensualismo e al panismo creò una propria corrente
letteraria: il dannunzianesimo.
Ma
molti si chiedono come mai un letterato, ispirandosi al sensualismo in un modo
così 'erotico', poteva dar vita a delle opere così belle.
Beh,
la risposta la troviamo in Decadentismo
in Italia e in Europa. Qui Bruno afferma che “D'Annunzio tutto era tuffato
nel vortice tempestoso della vita in tumulto e non gli restava altro che
affidarsi al carpe diem di una quotidianità di transito; e intanto l'arte solo
lo rendeva fedele a se stesso, lo piegava ad un destino, che gli si creava di
attimo in attimo, e che era il più adatto a conformarsi ad una situazione
psicologica di eccezione, e perciò mutevole sempre e inafferrabile”.
Notiamo
quindi, che D'Annunzio si abbandonò in un primo momento ai criteri decadenti:
infatti l'autore subiva il fascino delle creature abbozzate da Dostoevskij
(scrittore e filosofo russo il quale affermava che la
brama di vivere si scontra con una realtà di sofferenza e si coniuga con una
incessante ricerca della verità. Egli scrisse: “Nonostante tutte le perdite e
le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la
vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio
alla mia vita .... e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia
avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla:
ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà”)
e la sua naturale disposizione al mimetismo lo trascinava nel settore della
narrativa, che alimentò i suoi interessi molteplici e li ampliò man mano con il
trasvolare degli anni e delle circostanze.
Notiamo
quindi che l'erotismo e l'estetismo mettevano in evidenza il 'naturalismo'
della poesia di D'Annunzio al fin di sovrapporsi al sensualismo nudo e crudo
della nuova corrente letteraria novecentesca.
E
deduciamo che solo durante il 'periodo napoletano' (1891-1894) il poeta
inizierà a staccarsi dalla letteratura decadente e, attratto dagli autori
anglo-sassoni, si ispirerà agli scandali più segreti e alimenterà la sua
tendenza estetica.
A
partire dal 1902 il poeta inizia a pubblicare le sue opere 'estetiche' fondate
sulla gioia inesausta di vivere ed esistere nell'emisfero particolare del
sensuale, che dà enfasi ai suoi componimenti.
L'irrazionale,
la sensualità, la lussuria, l'oratoria furono componenti attive nel processo di
creatività dello scrittore, che volle tentare tutti gli esperimenti, che la
vita presentava al suo spirito in lievitazione e sussulto interrotto.
Possiamo
affermare che sia il Decadentismo sia il dannunzianesimo erano caratterizzati
da una vasta dimensione di leggi morali, che la poesia elevava ai suoi fastigi
emblematici; ma non mancavano i tremiti improvvisi, i tormenti intimi, le
fatture psicologiche in via di espansione, e tali che aumentavano il male, che
attanagliava le persone e le piegava ad una condizione di crisi e disagio
ineliminabili, permanenti.
La
poetica del Decadentismo era ricca di musicalità e, per quanto riguarda le
opere di D'Annunzio, questo lo vediamo in Alcyone,
che è una raccolta di ottantatré liriche pubblicata nel 1903. Alcyone è il poema del Sole e
dell'Estate in cui D'Annunzio trasfigura e rappresenta liricamente momenti e
sensazioni dell'estate 1902, trascorsa in Versilia. È giustamente considerato
il capolavoro del poeta. Qui scompaiono l'enfasi, le tensioni e la retorica
reboante delle altre raccolte, e la parola si fa musica e canto.
Possiamo
quindi affermare che le laudi dell'Alcyone
rispecchiano la vera poetica di D'Annunzio: una poetica ispirata alla
sensualità, intesa come abbandono gioioso della vita dei sensi e dell'istinto,
per scoprire l'essenza profonda e segreta dell'io.
Si
rinnova così nell'animo dello scrittore il dramma romantico della ricerca
dell'assoluto, ma, a differenza dei romantici che ricercavano quest'ultimo con
l'estasi dello spirito, D'annunzio lo cercava con l'estasi panica, cioè con
l'immergersi nella natura delle cose, fino a “sentire in bocca il sapore del
mondo” come egli dice.
Però,
Bruno ci dice che D'Annunzio non ebbe una poetica ben definita, perché, data la
sua straordinaria abilità di captare i gusti e le tendenze delle letterature
europee contemporanee, ne riecheggiò i motivi e le forme mutando continuamente
la poetica.
Pertanto
la poesia autentica di D'Annunzio ha un carattere frammentario antologico;
raggiunge il suo culmine in alcuni capolavori dell'Alcyone, come La sera
fiesolana, La pioggia nel pineto,
L'Onda, e I pastori.
Leggendo
queste liriche possiamo dedurre che D'Annunzio ha un temperamento sensuale, e perciò
ha una percezione egoistica, orgogliosa e arrogante della solitudine, derivata
dalla consapevolezza della eccezionalità della propria persona, che lo spinge
ad affermare la propria supremazia sugli altri, a conquistare il dominio sul
mondo.
Infatti
in Maia (poema autobiografico lungo
più di ottomila versi, pubblicato nel 1903) leggiamo:
O
mondo, sei mio!
Ti
coglierò come un pomo,
ti
spremerò alla mia sete
alla
mia sete perenne.
D'Annunzio
cercò sempre di inquadrare nei suoi versi la visione floreale del mondo
recepito con tremore panico e nei modi della bellezza estetica, che veniva
captata con una prontezza pura di linguaggio, ma il principio dell'esteticità
val in sé e per sé , dal momento che esso nasce da una qualsiasi necessità
interiore e che attinge la piena autosufficienza.
I
miti dannunziani dell'estetismo, del vitalismo, del sensualismo, pur essendo
tramontati, rappresentano pur sempre una testimonianza unica ed emblematica di
un’epoca storica.
Inoltre,
se qua e là possiamo restare ammirati di fronte a tanta abbondanza di parole e
tanta abilità stilistica, raramente la poesie di D'Annunzio ci commuovono,
perché la sua perfezione artistica, come disse Serra (1913), è “una perfezione
che suona falso”.
La
sua arte è un perpetuo e monotono monologo, ora folle, per una sorta di feroce
orgoglio, ora doloroso e sommesso nei momenti di stanchezza e di delusione, in
ogni caso sempre concentrato sulla sua persona, perciò si può dire che tutta
l'opera di D'Annunzio sia una continua e minuziosa autobiografia.
“Ricorda
di osare sempre”. (Gabriele D'Annunzio)
La
lettura dell’opera di Bruno non è stata per me agevole, ma mi è stata
particolarmente utile per entrare, se pur con difficoltà, in un mondo
affascinante: quello della letteratura che, quando è tale, è anche vita. Anzi
una vita molto più profonda che circola in ognuno di noi.
APPENDICE
“Frugando fra le carte…”
Includo questa mia ultima
riflessione, anche se si allontana in parte dal tema, perché la ritengo
importante in quanto la lettura dei libri di Francesco Bruno mi ha talmente
incuriosito che mi ha portato a fare ulteriori ricerche.
Infatti, recandomi nella
biblioteca di Salerno, sono riuscito a procurare una raccolta di novelle e, con
mia grande fortuna, ho trovato proprio la prima edizione. Ho avuto la fortuna
di leggere Frate Gesù, raccolta
pubblicata nel 1924 da Raffaello Beraglia. Più che fortuna direi soddisfazione,
perché sfogliare dei libri ‘antichi’ è per me come sentire il profumo della
pace. Amo 'sniffare' i libri, ma avere in mano una raccolta di novelle del 1924
per me è davvero un onore.
Frate Gesù è un
libro pieno di emozioni, un libro ricco di immagini e di sentimenti. È come se
fosse un diario: le storie ivi raccontate fanno sì che io possa leggere con
curiosità il cuore del mio concittadino. Bruno scrive in questo libro di amore,
amicizia, paura, curiosità, angoscia, desiderio, estetismo ... insomma
raggruppa in un insieme di pagine tutte le emozioni che ha provato da giovane.
La raccolta è composta da otto
novelle che trattano, indirettamente o direttamente, i 'problemi' che l'animo
umano è costretto ad affrontare.
La mia novella preferita è Povero piccolo fiore, storia in cui
Bruno si immedesima in un giovane innamorato della sua amante. In queste pagine
tramonta l'amore di due giovani, due giovani che si amano davvero: senza
interessi, senza pregiudizi; si amano perché amano l'amore.
Il narratore, ossia Bruno,
racconta l'infanzia che trascorse con una fanciulla, Rosella, e l'amore che
iniziò a provare per quest'ultima. Sono dei paragrafi pieni di vita, davvero
molto toccanti, che mi hanno colpito molto.
Il giovane innamorato
rimpiange i momenti felici trascorsi con la sua amata: la novella ha infatti un
finale tragico: la morte di Rosella, che rimbomba nel cuore del giovane
scatenando in lui i ricordi più belli, più vivi, più felici trascorsi con la
fanciulla.
A pagina 84 leggiamo infatti:
“Ritorno oggi, Rosella, e tu non sai quanta angoscia sia in me, quanta
tristezza ricopra e sembra voglia soffocare questo mio cuore di fanciullo”.
Sono delle parole molto significative e molto profonde, ma dette da un
fanciullo.
Facendo riferimento
all'attualità, nessun giovane è più capace di esprimere dei sentimenti così
puri, così forti verso una ragazza: i tempi sono cambiati, e la mentalità,
evolvendo, ha trascurato il bisogno di cui l’uomo necessita: l'amore!
Sì, l'amore! L'uomo ha
trascurato la necessità di amare e di esprimere questo sentimento così puro,
così magico... I ragazzi di oggi sono abbagliati da un desiderio carnale, un
desiderio che non conoscono appieno, ma che desiderano conoscere soltanto per
sembrare maturi. Ma la cosa che può rendere l'uomo maturo è l'amore. Sì, solo
amando dimostriamo di crescere, dimostriamo di poter aprire il nostro cuore;
attraverso l'amore potremmo comportarci da esseri umani.
Non bisogna cogliere l'attimo,
non bisogna attraversare solo le strade asfaltate: bisogna percorrere la via
più umile, perché sarà ricca di amore.
Alessio Capitani
2° classificato
Molti sono gli scrittori e i poeti che nel
corso della loro vita hanno avuto l’occasione di visitare il Cilento e sono
rimasti affascinati dal paesaggio, dall’ambiente, dalle emozioni che hanno
provato decidendo di esaltarlo nelle loro composizioni. Fra questi ho voluto prendere
a esempio due grandi poeti: il dottor Giuseppe De Vita, originario del Cilento,
e la scrittrice danese Else Mogensen.
Giuseppe De Vita è forse uno dei più grandi
scrittori cilentani ricordato soprattutto per le poesie, successivamente
musicate, “So Nato a Lu Ciliento “ e “Cche Ssi Ciliento Mia !” dove canta la
bellezza del Cilento. Da esse si può dedurre come in De Vita sia forte il
legame con la sua terra d’origine di cui conserva i migliori ricordi
dell’infanzia e della gioventù vissuti in questa terra straordinaria e portati
nel cuore e nei suoi pensieri in ogni momento. Proprio la poesia “Cche Ssi
Ciliento Mia!” vuole mettere in risalto tutto ciò. Già dal titolo si può
osservare che De Vita vede il Cilento come qualcosa di speciale, di indescrivibile
e lo esalta al tal punto che rimane egli stesso colpito da tutto ciò che lo
caratterizza. Lo descrive con varie sfumature: é una donna elegante che vaga
nei campi di ginestre profumate, una pianta di ulivo le cui fronde
costituiscono i capelli della donna, é il mare, dall’acqua cristallina, le cui
onde si infrangono contro gli scogli quasi volendo giocare. Sente il sapore del
mirtillo, dei funghi e delle castagne mentre assapora la sensazione di pace che
si prova visitando il Sacro Monte. Gli ritornano alla mente i tanti paesini
antichi arroccati sulle colline ormai disabitati dove si sente solo il canto
degli uccelli. Molte persone nate qui e poi emigrate altrove, proprio come
l’autore, hanno impressa nella loro mente l’immagine viva del Cilento e sperano
che un giorno possano ritornare per potervi passare gli ultimi momenti della
loro vita, a testimonianza del legame forte che li lega con la loro terra. Un
inno al Cilento quello di Giuseppe De Vita, che lo considera come una seconda
madre.
Diversa, ma non tanto, la visione che del
Cilento ha la scrittrice Else Mogensen che pur non essendoci nata lo racconta,
in ogni sua poesia, così magnificamente da farci rimanere impressionati. Nata e
cresciuta in Danimarca, Else inizia a viaggiare visitando l’America, la Grecia,
il Belgio e l’Inghilterra e poi casualmente fa tappa nel Cilento. Rimane
affascinata dal mare e dal calore che il sole mediterraneo le trasmette, e che
invece non poteva trovare nei paesi del Nord Europa freddi e bui. Per questo
camminava a piedi per le vie di Ascea rimanendo colpita da tutto ciò che la
circondava e sentendosi in simbiosi con esso. Proprio quest’emozione si
riscontra leggendo una delle sue poesie più affascinanti, “La Metamorfosi“. Il
titolo raccoglie tutto il significato della poesia, una simbiosi che Else
immagina avvenga tra il Nord Europa e il Cilento, due terre che fanno parte di
lei ma in modo diverso. Della Danimarca ricorda le foreste di faggi e di
querce, le aringhe del mare del Nord e il freddo polare, invece l’olivo, il
castagno e le alici simboli del Cilento ed il Mar Mediterraneo li sente vicini
come fossero suoi amici, come se il Cilento avesse occupato un posto speciale
nella sua anima, nel suo corpo. E’ questo il luogo dove ha trovato quello che
cercava, luogo come dice, dove si può pensare e dare libero sfogo alle idee,
dove ha trovato la felicità. Si promette e spera tanto che un giorno la
quercia, il faggio, l’olivo, il castagno, simboli di due mondi lontani, si
possano unire formando un unico ambiente grazie alla metamorfosi. Una trasformazione che avverrà
immaginariamente anche in lei che rinascerà sotto una nuova forma, una forma
nord-asceota, proprio come fa il bruco prima di trasformarsi in una splendida
farfalla che vola verso una nuova vita. Da questa poesia si capisce il valore
della vita per Else Mogensen, una vita fatta di piccole cose, ma semplici e
concrete, di libertà e voglia di esplorare. E’ anche vero che come Giuseppe De
Vita Else è legata alla sua terra natia, ma in un certo qual modo il Cilento le
ha trasmesso alcuni valori che lei ritiene speciali e che ha deciso di fare
propri. Un Cilento, quindi diverso ma non molto distante da quello di De Vita,
che viene visto come calore, come libertà e come trasformazione in un individuo
completo che ha capito cos’è la vita e ne apprezza tutte le sue sfumature. Una
visone del Cilento che entrambi i poeti esprimono con lo stesso amore per la
stessa terra, che pur essendo antica ha ancora molto da insegnare e da far
vivere, e che la Mogensen ha scelto come sua ultima dimora per sentire ancora
il profumo intenso della terra che l’ha vista per tanti anni felice.
Luigi Fierro
3° classificato
Che
cos’è il Cilento per voi? Una zona? Una specie di piccola regione? Il Cilento è
molto di più, ve l’assicuro. Lungo le strade, i viottoli quando sento la parola
Cilento il mio cuore stenta a battere, le mie orecchie ascoltano quella dolce
parola, la mia mente cerca di immaginare un posto più bello del Cilento mentre
io non faccio che pronunciare la parola ‘meraviglioso’. Il Cilento è vita, qui
la gente la assapora nel miglior modo; il Cilento è unico, noi ci
contraddistinguiamo in tutto il mondo per il nostro dialetto, un dialetto
armonioso e musicale come un violino accordato che con le sue note dolci fa
impazzire e sognare la gente che lo ascolta. La gente del Cilento sa come
divertirsi, tutti dovrebbero vedere come si balla e dovrebbero anche sentire la
nostra musica, che ci impedisce di stare fermi. E poi non parliamo del
paesaggio; i miei occhi s’ illuminano di luce quando mi affaccio alla finestra
e vedo il limpido mare di Palinuro. Ancora più incredibile è l’ affetto
reciproco tra le persone del Cilento, le persone “mischiano” gioia e ti fanno
sentire a tuo agio. Questo lo sa bene la signora Else Mogensen, una donna piena
di sentimenti, che ha dedicato la vita a questa terra scorgendo i paesaggi più
belli del Cilento e poi scrivendo delle poesie che ti toccano il cuore. Lei ora
è diventata un simbolo di questo posto. Ma non è stata l’ unica a scrivere
frasi sul Cilento; qui abbiamo ospitato una grande persona come Giuseppe
Ungaretti. Lui è stato il capostipite dell’ Ermetismo, ha portato avanti le tematiche
di questa corrente ed ha guidato anche gli altri poeti. Ma Giuseppe Ungaretti
non è stato soltanto un poeta di grande spessore, ma anche un prosatore.
Attraverso articoli, saggi critici, traduzioni abbiamo scoperto che, nella
primavera del 1932, Giuseppe Ungaretti è stato nel Cilento scrivendo pagine e
pagine su di esso. Lui impiega il suo tempo in scenari poco visibili altrove:
Pianura di Paestum, Agropoli, Valle dell’Alento, Elea, Punta Licosa, Monte
Stella. In tutto quello che scrive Ungaretti mette in risalto la sua capacità
lessicale ma soprattutto, osservando attentamente tutto ciò che lo circonda,
descrive alcuni minuziosi particolari che nemmeno un tipico cilentano riesce a
vedere: “subito si fanno notare le bufale, che s’avvoltolano nel sudicio per
non sentire le mosche, che vanno in giro con quella crosta, sulla quale cresce
anche l’ erba, portando le gazze che le prendono per alte zolle”. Dopo aver
descritto le bufale della Piana di Paestum, Ungaretti va ad Agropoli
accorgendosi immediatamente della Punta, perchè secondo lui senza di essa,
Agropoli sarebbe stato un paese qualunque. Dopo aver osservato e descritto
questi due gioiellini del Cilento, Ungaretti e i suoi amici vanno a visitare
Velia. Velia, o anche Elea, la definisce “una città di fuggiaschi, dove anche
il mondo aveva finito col divenire un’assenza”. Lui qui pensa ai grandi
filosofi, come Parmenide, che hanno camminato su questa terra. Conclusasi la
visita a Velia, Ungaretti si reca a Palinuro dove rimane strabiliato dal
paesaggio; qui sottolinea l’ospitalità, l’educazione della gente del Cilento.
Ungaretti dopo aver parlato con un po’ di persone del posto, approda a
Pisciotta, che secondo lui, è divisa in tre parti: nella zona più alta ci sono
le prime abitazioni, le più antiche; in mezzo ci sono gli ulivi tipici della
zona e in basso ci sono le nuove abitazioni. Ungaretti continua il suo viaggio
visitando Pompei, Ercolano e Napoli; egli dice che a Pompei ed a Ercolano
sembra sentire il profumo della sua gente mentre di Napoli scrive delle frasi
molto profonde: ”La durezza di vivere mi prende un senso così fresco e eterno,
e così naturale e degna mi sembra la condizione di combattere. Oh! Mare….
vasàmolo int’a l’ uocchie!’’ E qui si conclude lo splendido viaggio di Giuseppe
Ungaretti. Noi cilentani dovremmo essere fieri di aver avuto come ospiti la
signora Else Mogensen e Giuseppe Ungaretti, anche se dobbiamo dire che l’amore
della signora Mogensen verso il Cilento è impareggiabile, perché lei a
differenza di Ungaretti, è venuta ad abitare qui. Sono due persone diverse ma
che mandano lo stesso messaggio. Il loro messaggio è che questa terra è una
terra preziosa, originale per le grandi persone che vivono qui e per le
bellissime usanze; tutti noi dobbiamo essere fieri di vivere qui e dobbiamo
rispettare questa terra. Nel Cilento sono vissuti molti popoli importanti per
cui cerchiamo di diventare anche noi un grande “popolo”, in modo tale che tutti
conosceranno questa terra, il Cilento, una terra meravigliosa, ma che ora lo è
ancora di più.
Federica
Chiarelotto
MENZIONE SPECIALE
Cos’è il Cilento? Un sogno? Un’utopia? Per la
poetessa Else Mogensen, il Cilento è una realtà con un'identità tutta sua! E’
“Il paese della favola” – come recita una sua poesia – dove i riflessi del sole
e i colori a tinte a volte forti a volte tenui generano allegria e favoriscono
lo stare insieme, dove sembra che il silenzio “é piacevole, ma la parola é
preziosa”. “Quando sorrido al Cilento, il Cilento mi sorride”, è una delle
frasi più belle con cui la scrittrice esprime ammirazione verso questo posto
dove ha scelto di trascorrere una parte della sua vita. Nata e cresciuta in
Danimarca e vissuta in diversi Paesi del mondo, considera il Cilento come se
fosse la sua patria, come se lei fosse nata tra questi verdeggianti prati, tra
queste onde spumeggianti e tra questa profumata macchia mediterranea. E’ così
innamorata di questa terra al punto di paragonare il silenzio che regna nelle
valli ad una poesia armonica. Lei è vissuta tra questa gente e in questi luoghi
per molti anni, questi posti le ispiravano pace, tranquillità. In una delle sue
poesie “Cilento Felix” li paragona ad una sfera che contiene tutto con grande
armonia, alla felicità che deve essere una meta per l’essere umano. Noi
Cilentani non diamo la giusta importanza alla nostra terra, siamo abituati a
vedere il mare come una cosa di tutti i giorni, alcune volte nemmeno ci
accorgiamo di averlo a due passi da casa, invece Else lo ammira, nota ogni
particolare di esso, guarda le onde infrangersi contro gli scogli, guarda il
sole tramontare che in quell'istante sembra immergersi nell’orizzonte, tra
l’azzurro intenso del mare. La scrittrice osservava tutti i particolari di
questa terra anche se ormai sembrava conoscerli a memoria, ogni giorno
passeggiando guardava e riguardava il paesaggio senza mai stancarsi. Si
rivedeva in questi luoghi, li sentiva come parte della sua persona. Lei e il
Cilento si completano, come gli alberi completano una foresta, come il sole e
la luna completano il cielo oppure come i pesci completano il mare: lei è un
piccolo tassello che conclude il puzzle, questo puzzle racchiude una magia, che
rende questo posto misterioso come l’universo e indimenticabile come un cielo
stellato. Else prova un sentimento forte verso il Cilento, come biasimarla? I
paesaggi che mozzano il fiato, i tramonti con i mille colori che variano di
giorno in giorno, il mare ora agitato, ora calmo che sembra rispecchiare
l’animo di una persona, i secolari alberi d’ulivo che fanno battere il cuore,
le montagne che sembrano essere sostegni a dimostrazione della fedeltà, ma
fedeltà verso chi? Fedeltà verso il Cilentano stesso, fedeltà verso la
scrittrice, fedeltà verso l’uomo, perchè anche se noi ci mostriamo infedeli, le
nostre montagne continueranno a sostenerci. A questo punto, come possiamo
pensare che il Cilento non sia innamorato di noi, in particolar modo di Else?
Lei si è unita al Cilento in una sola cosa, ha amato il Cilento con tutta se
stessa e lo ha dimostrato parlandone, esprimendo i suoi sentimenti e tutto ciò
che provava, nelle tante poesie che ad esso ha dedicato. Andandosene ha
lasciato il Cilento solo fisicamente, ma la sua anima, le sue riflessioni, i
suoi pensieri, saranno sempre in questi luoghi che fanno invidia al mondo, come
lei ci ha dimostrato e continua a dimostrare attraverso i suoi componimenti. Il
Cilento è un universo complementare fatto di monti, animali, boschi, borghi,
tramonti, mare di cui solo lei è riuscita a cogliere la bellezza, ma
soprattutto le peculiarità che rendono il Cilento una terra ospitale e
premurosa con i suoi figli e con tutte le persone che lo hanno scelto come
luogo dove trascorrere serenamente la propria vita.