Il premio Mogensen-Bruno è instituito dalla Dotoressa Else Mogensen in collaborazione con la famiglia Bruno, perché è importante leggere e conoscere bene quello gli scrittori e le scrittrici del nostro paese hanno scritto e scrivevano perché il loro modo di pensare è anche parte del nostro patrimonio, il loro ambiente è anche il nostro. L'identità di Bruno si formò ad Ascea mentre cresceva qui, e leggendo le sue opere, si riconoscono emozioni comuni e modi di pensare che sono stati distillati da una grande mente.

Francesco Bruno

Francesco Bruno
Nato ad Ascea nel 1899, Francesco Bruno era uno dei più importanti e famosi giornalisti e critici letterari di Novecento. Bruno ha scritto narrative con relazione ad Ascea e Cilento, però sopratutto ha scritto molto sulla cultura meridionale con le radici di Elea/Velia, e lui ha tracciato la nostra cultura dall'antichità via Giambattista Vico e il grande scolaro di lingua e letteratura italiana, Francesco De Sanctis, a Benedetto Croce. Ha scritto di Alfonso Gatto, un poeta favorito da molti cilentani, e sulle opere di molti altri scrittori e personalitè letterari del mezzogiorno.

onsdag den 29. juni 2016

PREMIO MOGENSEN-BRUNO – 7^ EDIZIONE 2016




Presso l’anfiteatro della Fondazione Alario si è svolta il 3 giugno, questa volta in un bel pomeriggio di sole, la settima edizione del Premio Letterario Mogensen-Bruno, concorso di scrittura per gli alunni della Scuola Secondaria di 1° grado ispirato alla figura letteraria di Francesco Bruno. Con grande stima e riconoscenza è stata ricordata anche quest’anno la sua ideatrice e promotrice, dott.ssa Else Mogensen. In Sua memoria si continua ogni anno ad organizzare il Premio con la collaborazione della famiglia Bruno, nelle persone della nuora dello scrittore, prof.ssa Maria Novi e i nipoti Francesco e Enrico. Insieme a loro il figlio della sig.ra Else, René Mogensen con la nuora Leila e il marito della sig.ra Else, professor Lars Aagaard-Mogensen, grande assente di questa edizione. Tutti hanno però fatto parte, come ogni anno, della Commissione che ha decretato i tre temi vincitori fra gli undici pervenuti. Quest’anno è stata assegnata anche una menzione speciale.
La tematica proposta prevedeva la trattazione di un autore del ‘900 a scelta, anche attingendo liberamente alle opere di Francesco Bruno e Else Mogensen. La prima parte della premiazione ha visto un breve discorso di ringraziamento della prof.ssa Maria Novi in Bruno rivolto alle docenti che ogni anno, con tanta dedizione, spronano gli alunni delle terze classi alla composizione dei temi, poi si è passati rapidamente alla premiazione individuale.
Al terzo posto si è classificato il tema di Luigi Fierro della classe 3^ A, al secondo quello di Alessio Capitani della classe 3^ B. Il primo premio è stato assegnato invece al lungo e dotto componimento presentato da Sovan Petru Bogdan della classe 3^ C, con la seguente motivazione:
Il lungo elaborato, vero e proprio saggio sul pensiero critico di Francesco Bruno, analizza in maniera competente e molto dotta il fenomeno letterario del Decadentismo, soffermandosi in particolare sulla poetica del D’Annunzio. Risulta originale e personale nella trattazione, denotando lo straordinario interesse e la dedizione del giovane autore per il campo della letteratura e le sue ottime capacità critiche.
La menzione speciale è stata infine assegnata al migliore dei temi ispirati alla figura artistica della dott.ssa Else Mogensen.
I premi, consistenti in denaro, libri e pergamene ricordo sono stati consegnati ai tre vincitori dalla famiglia Bruno.
                                                                                                                Maddalena De Leo


Motivazioni
Motivazione 3° Premio:
L’elaborato, in maniera efficace e con prosa scorrevole riesce ad unire due poeti quali Ungaretti e Else Mogensen attraverso un comune denominatore, l’amore per il Cilento, terra alla quale anche il giovane autore è orgoglioso di appartenere.
Motivazione 2° Premio:
L’elaborato, ricco di spunti e ben articolato, rivela ottime capacità di sintesi e di analisi nonché sensibilità d’animo.
Motivazione 1° Premio:
Il lungo elaborato, vero e proprio saggio sul pensiero critico di Francesco Bruno, analizza in maniera competente e molto dotta il fenomeno letterario del Decadentismo, soffermandosi in particolare sulla poetica del D’Annunzio. Risulta originale e personale nella trattazione, denotando lo straordinario interesse e la dedizione del giovane autore per il campo della letteratura e le sue ottime capacità critiche.

Menzione speciale:
L’elaborato, interamente dedicato a Else Mogensen, ne coglie perfettamente la suggestione poetica attraverso un discorso chiaro e armonioso.


Temi vincitori 2016

Sovan Petru Bogdan

1° CLASSIFICATO

IL DECADENTISMO DAGLI OCCHI DI FRANCESCO BRUNO

Colpito e affascinato dal successo – in campo letterario – del mio concittadino, vorrei soffermarmi ad esprimere i miei punti di vista a riguardo della critica che Bruno ha fatto sul Decadentismo; gradirei, in particolare, soffermarmi su uno dei più noti esponenti di tale movimento letterario: Gabriele D’Annunzio. Inizialmente vorrei citare delle note biografiche riguardanti il famoso critico, esprimendo le mie considerazioni e quindi commentando il suo pensiero letterario e la sua psicologia critica, per poi immergermi nell'argomento che il Bruno critica nel suo libro Il Decadentismo in Italia e in Europa, edito da 'Edizioni Scientifiche Italiane' nel 1998.
Francesco Bruno nacque ad Ascea (provincia di Salerno) il 28 maggio del 1899 da Gennaro e Giuseppina Battagliese.
Primo di cinque figli, aveva una vocazione letteraria molto intensa sin da bambino: era particolarmente interessato alla rivista “I Diritti della Scuola”, a cui la sua maestra, Elodia, era abbonata. Notiamo, quindi, che Francesco amava molto un genere che trattava la democrazia (diritti) e penso che proprio leggendo queste riviste il nostro concittadino abbia accumulato una conoscenza a 360 gradi, in quanto, leggendo e approfondendo ogni particolare, riuscì a diventare un uomo molto, ma molto colto. E questo ce lo dimostra la sua preparazione letteraria in tutti i campi artistici.
La sua maestra, in quarta elementare, gli aveva detto che un giorno avrebbe scritto su “I Diritti della Scuola”, e la predizione della sig.ra Elodia si avverò: agli inizi degli anni trenta il direttore della rivista, Annibale Tona, colpito dalla preparazione di Bruno, decise di invitarlo a collaborare al periodico e così, fra il 1935 e il 1936, il nostro concittadino pubblicò nella rivista il primo manoscritto (“Qualcuno bussa alla porta”) della Morante.
Il 30 luglio sposò a Salerno Ida Buonanno, dalla quale ebbe Giuseppina (Pinuccia per i familiari) ed Elio.
Nel 1924 Bruno pubblicò presso Raffaello Beraglia (editore salernitano) il suo primo libro: una silloge di racconti, ispirata al contrasto tra Bene e Male.
Da quell'anno gli editori e i direttori dei giornali più famosi ('Il Mattino', 'Roma', 'Il Tempo', 'L'Avanti') richiesero la collaborazione del nostro critico, ma Bruno rifiutò di collaborare con i periodici socialisti perché si riteneva 'incapace' di criticare la politica dei parlamentari. Io penso, invece, che voleva semplicemente 'farsi i fatti suoi' e non voleva attirare anche l'attenzione dei politici. In quegli anni la stampa era abbastanza limitata per quanto riguarda la censura politica e posso quindi affermare che ammiro la scelta fatta da Bruno.
Si spense all'ospedale Cardarelli di Napoli il 20 novembre 1982 invocando i suoi familiari, la scogliera del suo paese, la macchia verde della campagna e degli ulivi saraceni, che avevano fatto da sfondo al suo romanzo Paese di eriche e di ginestre. Gli era accanto il figlio Elio.
Era un patriota, un amante della sua patria, della sua terra: ce l'aveva nel sangue e si ispirò ad esse per conquistare il pubblico. Francesco Bruno è un esempio e il suo animo raggruppa tutte le sfumature patriottiche di quegli anni.
La sua è una critica molto semplice, comprensibile, ma nello stesso tempo ricca di termini letterari: il suo era un linguaggio molto raffinato, ma, nello stesso tempo accessibile, perché Bruno voleva che tutti potessero comprendere i suoi articoli e le sue opere.
Era un intellettuale umanista, di pensiero misto: egli si ispirava alle varie correnti letterarie e ne creava una propria. Infatti notiamo che fra le tante correnti letterarie criticate, Bruno non si limita solo ad usare il linguaggio tipico che caratterizzava quel periodo, ma ne aggiungeva di suo, dando così vita a un linguaggio molto fluido e lineare. Potremmo quindi parlare di “brunismo” letterario se analizziamo da un punto di vista linguistico-stilistico il contenuto delle sue opere.
Ammiro questo suo modo di fare e, se dovessi paragonarmi a lui, penso che adotterei anch'io un linguaggio molto diverso da quello usato nelle opere di quel periodo commentato.
Francesco Bruno è uno dei miei critici preferiti e proprio il suo linguaggio ha fatto sì che mi fermassi ad analizzare e ad elaborare il suo concetto di “decadente”.
Il Novecento si apre con una reazione alle forme e agli spiriti del secolo precedente: gli scrittori abbandonano inconsapevolmente la poesia “romantica” dell'Ottocento, e si dedicano al componimento di opere trattanti i bisogni dell'animo umano. Si verifica quindi un passaggio dal “personale” ottocentesco all'”universale” del nuovo secolo. La poetica si concentra quindi sui temi che trattano le esigenze più profonde dell’animo umano, ignorate o trascurate dalla scienza del tempo.
Nel Novecento mutano anche i sentimenti e la sensibilità è considerata una “gelosia shakespeariana”, una gelosia sentimentale che è perenne e rappresenta, per i letterati novecenteschi, il modo di avvertire ed esprimere un determinato sentimento. La gelosia può essere quindi amore, amicizia, odio, ecc. In tal senso, Bruno scrive nel suo libro Novecento Europeo che “l'arte stessa è originalità, perché legata all'elaborazione individuale degli artisti”. Notiamo quindi che anche l'arte viene considerata un sentimento “originale” nato dall'opera letterario-artistica di qualunque persona. Infatti in questo periodo le varie figure letterarie provenivano non da ceti molto alti, perché l'educazione era accessibile anche ai più poveri.
Ancora notiamo che la poesia del primo Novecento è una poesia originale, ricca di espressioni molto profonde, ma nello stesso tempo è una poesia che si ispira a ideali fantastici e sensuali (estetismo letterario) e si basa principalmente su fondamenti filosofici: infatti la poesia decadente è considerata una parte della natura umana e, secondo i grandi pensatori, è composta dalle ansietà dell'amore – in quanto rappresenta lo sfogo dei poeti – e si immedesima in una verità, molto concreta per i filosofi, che opera in campo scientifico (positivismo).
Il Decadentismo secondo Bruno va proposto come un momento di ricambio dei valori etici ed estetici, come parabola storica e non in quanto circostanza deteriore e negativa.
Questa corrente letteraria si alterna tra situazioni di arte e di pensiero: si ha quindi una visione diversa della vita in campo artistico e anche letterario.
Parlando di 'creazione estetica' ci viene subito in mente la poetica dannunziana, una poetica ricca di sensualismo, che esaltava angelicamente la bellezza femminile. La poetica del D'Annunzio era ricca di vita e di estetismo: in un primo momento era basata sugli ideali decadenti, ma data la crisi positivista, il poeta abbandonò lo stile decadente e, ispirandosi all'estetismo inglese e al materialismo americano, diede vita al panismo (da 'Pan', dio dei boschi). Il panismo è l'immedesimarsi nella natura attraverso una metamorfosi: il D'Annunzio considerava la natura un'entità viva, nella quale l'uomo e il mondo si uniscono creando un unico elemento. E questo lo notiamo in “La pioggia nel pineto”, poesia nella quale il poeta evoca la natura come se fosse parte di sé stesso. Servendosi dell'estetismo, egli esalta la bellezza di Ermione (Eleonora Duse, l'amante del poeta) in una forma molto sensuale.
Bruno, nella sua critica, afferma che D'Annunzio va oltre i relitti naturalistici, annidatisi nei suoi racconti, pervenendo ad un'opera sostenuta, molto raffinata.
La sua poetica ha un senso epico, leggendario della vita, che rende le opere dell'autore eluse e molto aride, ricche di indagini psicologiche e ispirate a passioni grezze e rudimentali.
Il linguaggio utilizzato dal D'Annunzio è molto forbito e prezioso: il poeta guarda la vita da letterato, con pieno distacco. Egli attua un'arte dall'arte, con le sue ambizioni di cesellatore e aristocratico della parola: i suoi personaggi si presentano in veste di uomini emancipati, al di là del Bene e del Male.
D'Annunzio si mescola con le cose circostanti, e la sua letteratura celebra un mondo reale, non importa se di eletti e predestinati.
“Egli” commenta Bruno “non è un poeta avulso dalla vita, anche se la vita gli si configuri davanti sotto specie di essenza prelibata e superumana”.
Il Decadentismo è caratterizzato, inoltre, da un'esigenza di allargare i limiti della conoscenza, e Bruno vede questa 'esigenza' come un “potere di esplorazione in ogni settore così del reale come dell'irreale”.
Ad esempio, in campo artistico, la pittura francese – in particolare la pittura di Mallarmé – spalancò un varco molto significativo. Si videro, con lui, prospettate forme simboliche dilatate intorno a sfumature di luce approssimativa, di penombre, con i loro chiaroscuri, i quali intendevano effigiare sulle tele i motivi ipotetici del pomeriggio, che lasciava intravedere gli ultimi spiragli del giorno prossimo del declino.
Continuando a parlare dell'arte decadente francese, prendendo come esempio Baudelaire, notiamo che la poesia si concentrava principalmente sull'inconnu (sconosciuto), ossia su uno sconosciuto che contrassegnava il 'Male', recepito minimamente dai poeti del passato.
E intanto che la poesie dell'inconnu si diffondevano assieme al Simbolismo nel resto dell'Europa influenzando l'animo dei poeti, si faceva strada, sempre più, l'esperienza estetica non disgiunta dal controllo esercitato dal pensiero non in atteggiamento concettuale e intellettualistico, “ma” commenta Bruno “come componente essenziale del processo creativo, in cui la fantasia collabora con la ragione, che è dentro, non al di sopra dell'animus inventivo”.
L'estetismo si presentava quindi come un'esigenza naturale del mezzo espressivo, e si ispirava alla sensualità concreta della bellezza fantastica e descriveva quest'ultima con simmetria e 'perfezione'.
Ma era un'illusione. Un'illusione, perché il Decadentismo non era altro che una fase storica succeduta al Verismo. Ma il Verismo nasce sotto l'influenza del positivismo, quindi si affidava completamente alla scienza e si abbandonava alla teoria del 'progresso scientifico'; e dato che il Decadentismo è una corrente letteraria succeduta al Verismo, possiamo affermare che anche quest'ultimo aveva alla base principi positivisti. E proprio per questo D'Annunzio abbandonerà questo movimento artistico-letterario e, ispirandosi all'estetismo, al sensualismo e al panismo creò una propria corrente letteraria: il dannunzianesimo.
Ma molti si chiedono come mai un letterato, ispirandosi al sensualismo in un modo così 'erotico', poteva dar vita a delle opere così belle.
Beh, la risposta la troviamo in Decadentismo in Italia e in Europa. Qui Bruno afferma che “D'Annunzio tutto era tuffato nel vortice tempestoso della vita in tumulto e non gli restava altro che affidarsi al carpe diem di una quotidianità di transito; e intanto l'arte solo lo rendeva fedele a se stesso, lo piegava ad un destino, che gli si creava di attimo in attimo, e che era il più adatto a conformarsi ad una situazione psicologica di eccezione, e perciò mutevole sempre e inafferrabile”.
Notiamo quindi, che D'Annunzio si abbandonò in un primo momento ai criteri decadenti: infatti l'autore subiva il fascino delle creature abbozzate da Dostoevskij (scrittore e filosofo russo il quale affermava che la brama di vivere si scontra con una realtà di sofferenza e si coniuga con una incessante ricerca della verità. Egli scrisse: “Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita .... e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà”) e la sua naturale disposizione al mimetismo lo trascinava nel settore della narrativa, che alimentò i suoi interessi molteplici e li ampliò man mano con il trasvolare degli anni e delle circostanze.
Notiamo quindi che l'erotismo e l'estetismo mettevano in evidenza il 'naturalismo' della poesia di D'Annunzio al fin di sovrapporsi al sensualismo nudo e crudo della nuova corrente letteraria novecentesca.
E deduciamo che solo durante il 'periodo napoletano' (1891-1894) il poeta inizierà a staccarsi dalla letteratura decadente e, attratto dagli autori anglo-sassoni, si ispirerà agli scandali più segreti e alimenterà la sua tendenza estetica.
A partire dal 1902 il poeta inizia a pubblicare le sue opere 'estetiche' fondate sulla gioia inesausta di vivere ed esistere nell'emisfero particolare del sensuale, che dà enfasi ai suoi componimenti.
L'irrazionale, la sensualità, la lussuria, l'oratoria furono componenti attive nel processo di creatività dello scrittore, che volle tentare tutti gli esperimenti, che la vita presentava al suo spirito in lievitazione e sussulto interrotto.
Possiamo affermare che sia il Decadentismo sia il dannunzianesimo erano caratterizzati da una vasta dimensione di leggi morali, che la poesia elevava ai suoi fastigi emblematici; ma non mancavano i tremiti improvvisi, i tormenti intimi, le fatture psicologiche in via di espansione, e tali che aumentavano il male, che attanagliava le persone e le piegava ad una condizione di crisi e disagio ineliminabili, permanenti.
La poetica del Decadentismo era ricca di musicalità e, per quanto riguarda le opere di D'Annunzio, questo lo vediamo in Alcyone, che è una raccolta di ottantatré liriche pubblicata nel 1903. Alcyone è il poema del Sole e dell'Estate in cui D'Annunzio trasfigura e rappresenta liricamente momenti e sensazioni dell'estate 1902, trascorsa in Versilia. È giustamente considerato il capolavoro del poeta. Qui scompaiono l'enfasi, le tensioni e la retorica reboante delle altre raccolte, e la parola si fa musica e canto.
Possiamo quindi affermare che le laudi dell'Alcyone rispecchiano la vera poetica di D'Annunzio: una poetica ispirata alla sensualità, intesa come abbandono gioioso della vita dei sensi e dell'istinto, per scoprire l'essenza profonda e segreta dell'io.
Si rinnova così nell'animo dello scrittore il dramma romantico della ricerca dell'assoluto, ma, a differenza dei romantici che ricercavano quest'ultimo con l'estasi dello spirito, D'annunzio lo cercava con l'estasi panica, cioè con l'immergersi nella natura delle cose, fino a “sentire in bocca il sapore del mondo” come egli dice.
Però, Bruno ci dice che D'Annunzio non ebbe una poetica ben definita, perché, data la sua straordinaria abilità di captare i gusti e le tendenze delle letterature europee contemporanee, ne riecheggiò i motivi e le forme mutando continuamente la poetica.
Pertanto la poesia autentica di D'Annunzio ha un carattere frammentario antologico; raggiunge il suo culmine in alcuni capolavori dell'Alcyone, come La sera fiesolana, La pioggia nel pineto, L'Onda, e I pastori.
Leggendo queste liriche possiamo dedurre che D'Annunzio ha un temperamento sensuale, e perciò ha una percezione egoistica, orgogliosa e arrogante della solitudine, derivata dalla consapevolezza della eccezionalità della propria persona, che lo spinge ad affermare la propria supremazia sugli altri, a conquistare il dominio sul mondo.
Infatti in Maia (poema autobiografico lungo più di ottomila versi, pubblicato nel 1903) leggiamo:

O mondo, sei mio!
Ti coglierò come un pomo,
ti spremerò alla mia sete
alla mia sete perenne.

D'Annunzio cercò sempre di inquadrare nei suoi versi la visione floreale del mondo recepito con tremore panico e nei modi della bellezza estetica, che veniva captata con una prontezza pura di linguaggio, ma il principio dell'esteticità val in sé e per sé , dal momento che esso nasce da una qualsiasi necessità interiore e che attinge la piena autosufficienza.
I miti dannunziani dell'estetismo, del vitalismo, del sensualismo, pur essendo tramontati, rappresentano pur sempre una testimonianza unica ed emblematica di un’epoca storica.
Inoltre, se qua e là possiamo restare ammirati di fronte a tanta abbondanza di parole e tanta abilità stilistica, raramente la poesie di D'Annunzio ci commuovono, perché la sua perfezione artistica, come disse Serra (1913), è “una perfezione che suona falso”.
La sua arte è un perpetuo e monotono monologo, ora folle, per una sorta di feroce orgoglio, ora doloroso e sommesso nei momenti di stanchezza e di delusione, in ogni caso sempre concentrato sulla sua persona, perciò si può dire che tutta l'opera di D'Annunzio sia una continua e minuziosa autobiografia.

“Ricorda di osare sempre”. (Gabriele D'Annunzio)

La lettura dell’opera di Bruno non è stata per me agevole, ma mi è stata particolarmente utile per entrare, se pur con difficoltà, in un mondo affascinante: quello della letteratura che, quando è tale, è anche vita. Anzi una vita molto più profonda che circola in ognuno di noi.


APPENDICE

“Frugando fra le carte…”

Includo questa mia ultima riflessione, anche se si allontana in parte dal tema, perché la ritengo importante in quanto la lettura dei libri di Francesco Bruno mi ha talmente incuriosito che mi ha portato a fare ulteriori ricerche.
Infatti, recandomi nella biblioteca di Salerno, sono riuscito a procurare una raccolta di novelle e, con mia grande fortuna, ho trovato proprio la prima edizione. Ho avuto la fortuna di leggere Frate Gesù, raccolta pubblicata nel 1924 da Raffaello Beraglia. Più che fortuna direi soddisfazione, perché sfogliare dei libri ‘antichi’ è per me come sentire il profumo della pace. Amo 'sniffare' i libri, ma avere in mano una raccolta di novelle del 1924 per me è davvero un onore.
Frate Gesù è un libro pieno di emozioni, un libro ricco di immagini e di sentimenti. È come se fosse un diario: le storie ivi raccontate fanno sì che io possa leggere con curiosità il cuore del mio concittadino. Bruno scrive in questo libro di amore, amicizia, paura, curiosità, angoscia, desiderio, estetismo ... insomma raggruppa in un insieme di pagine tutte le emozioni che ha provato da giovane.
La raccolta è composta da otto novelle che trattano, indirettamente o direttamente, i 'problemi' che l'animo umano è costretto ad affrontare.
La mia novella preferita è Povero piccolo fiore, storia in cui Bruno si immedesima in un giovane innamorato della sua amante. In queste pagine tramonta l'amore di due giovani, due giovani che si amano davvero: senza interessi, senza pregiudizi; si amano perché amano l'amore.
Il narratore, ossia Bruno, racconta l'infanzia che trascorse con una fanciulla, Rosella, e l'amore che iniziò a provare per quest'ultima. Sono dei paragrafi pieni di vita, davvero molto toccanti, che mi hanno colpito molto.
Il giovane innamorato rimpiange i momenti felici trascorsi con la sua amata: la novella ha infatti un finale tragico: la morte di Rosella, che rimbomba nel cuore del giovane scatenando in lui i ricordi più belli, più vivi, più felici trascorsi con la fanciulla.
A pagina 84 leggiamo infatti: “Ritorno oggi, Rosella, e tu non sai quanta angoscia sia in me, quanta tristezza ricopra e sembra voglia soffocare questo mio cuore di fanciullo”. Sono delle parole molto significative e molto profonde, ma dette da un fanciullo.
Facendo riferimento all'attualità, nessun giovane è più capace di esprimere dei sentimenti così puri, così forti verso una ragazza: i tempi sono cambiati, e la mentalità, evolvendo, ha trascurato il bisogno di cui l’uomo necessita: l'amore!
Sì, l'amore! L'uomo ha trascurato la necessità di amare e di esprimere questo sentimento così puro, così magico... I ragazzi di oggi sono abbagliati da un desiderio carnale, un desiderio che non conoscono appieno, ma che desiderano conoscere soltanto per sembrare maturi. Ma la cosa che può rendere l'uomo maturo è l'amore. Sì, solo amando dimostriamo di crescere, dimostriamo di poter aprire il nostro cuore; attraverso l'amore potremmo comportarci da esseri umani.
Non bisogna cogliere l'attimo, non bisogna attraversare solo le strade asfaltate: bisogna percorrere la via più umile, perché sarà ricca di amore.


Alessio Capitani

2° classificato
Molti sono gli scrittori e i poeti che nel corso della loro vita hanno avuto l’occasione di visitare il Cilento e sono rimasti affascinati dal paesaggio, dall’ambiente, dalle emozioni che hanno provato decidendo di esaltarlo nelle loro composizioni. Fra questi ho voluto prendere a esempio due grandi poeti: il dottor Giuseppe De Vita, originario del Cilento, e la scrittrice danese Else Mogensen.
Giuseppe De Vita è forse uno dei più grandi scrittori cilentani ricordato soprattutto per le poesie, successivamente musicate, “So Nato a Lu Ciliento “ e “Cche Ssi Ciliento Mia !” dove canta la bellezza del Cilento. Da esse si può dedurre come in De Vita sia forte il legame con la sua terra d’origine di cui conserva i migliori ricordi dell’infanzia e della gioventù vissuti in questa terra straordinaria e portati nel cuore e nei suoi pensieri in ogni momento. Proprio la poesia “Cche Ssi Ciliento Mia!” vuole mettere in risalto tutto ciò. Già dal titolo si può osservare che De Vita vede il Cilento come qualcosa di speciale, di indescrivibile e lo esalta al tal punto che rimane egli stesso colpito da tutto ciò che lo caratterizza. Lo descrive con varie sfumature: é una donna elegante che vaga nei campi di ginestre profumate, una pianta di ulivo le cui fronde costituiscono i capelli della donna, é il mare, dall’acqua cristallina, le cui onde si infrangono contro gli scogli quasi volendo giocare. Sente il sapore del mirtillo, dei funghi e delle castagne mentre assapora la sensazione di pace che si prova visitando il Sacro Monte. Gli ritornano alla mente i tanti paesini antichi arroccati sulle colline ormai disabitati dove si sente solo il canto degli uccelli. Molte persone nate qui e poi emigrate altrove, proprio come l’autore, hanno impressa nella loro mente l’immagine viva del Cilento e sperano che un giorno possano ritornare per potervi passare gli ultimi momenti della loro vita, a testimonianza del legame forte che li lega con la loro terra. Un inno al Cilento quello di Giuseppe De Vita, che lo considera come una seconda madre.
Diversa, ma non tanto, la visione che del Cilento ha la scrittrice Else Mogensen che pur non essendoci nata lo racconta, in ogni sua poesia, così magnificamente da farci rimanere impressionati. Nata e cresciuta in Danimarca, Else inizia a viaggiare visitando l’America, la Grecia, il Belgio e l’Inghilterra e poi casualmente fa tappa nel Cilento. Rimane affascinata dal mare e dal calore che il sole mediterraneo le trasmette, e che invece non poteva trovare nei paesi del Nord Europa freddi e bui. Per questo camminava a piedi per le vie di Ascea rimanendo colpita da tutto ciò che la circondava e sentendosi in simbiosi con esso. Proprio quest’emozione si riscontra leggendo una delle sue poesie più affascinanti, “La Metamorfosi“. Il titolo raccoglie tutto il significato della poesia, una simbiosi che Else immagina avvenga tra il Nord Europa e il Cilento, due terre che fanno parte di lei ma in modo diverso. Della Danimarca ricorda le foreste di faggi e di querce, le aringhe del mare del Nord e il freddo polare, invece l’olivo, il castagno e le alici simboli del Cilento ed il Mar Mediterraneo li sente vicini come fossero suoi amici, come se il Cilento avesse occupato un posto speciale nella sua anima, nel suo corpo. E’ questo il luogo dove ha trovato quello che cercava, luogo come dice, dove si può pensare e dare libero sfogo alle idee, dove ha trovato la felicità. Si promette e spera tanto che un giorno la quercia, il faggio, l’olivo, il castagno, simboli di due mondi lontani, si possano unire formando un unico ambiente grazie alla  metamorfosi. Una trasformazione che avverrà immaginariamente anche in lei che rinascerà sotto una nuova forma, una forma nord-asceota, proprio come fa il bruco prima di trasformarsi in una splendida farfalla che vola verso una nuova vita. Da questa poesia si capisce il valore della vita per Else Mogensen, una vita fatta di piccole cose, ma semplici e concrete, di libertà e voglia di esplorare. E’ anche vero che come Giuseppe De Vita Else è legata alla sua terra natia, ma in un certo qual modo il Cilento le ha trasmesso alcuni valori che lei ritiene speciali e che ha deciso di fare propri. Un Cilento, quindi diverso ma non molto distante da quello di De Vita, che viene visto come calore, come libertà e come trasformazione in un individuo completo che ha capito cos’è la vita e ne apprezza tutte le sue sfumature. Una visone del Cilento che entrambi i poeti esprimono con lo stesso amore per la stessa terra, che pur essendo antica ha ancora molto da insegnare e da far vivere, e che la Mogensen ha scelto come sua ultima dimora per sentire ancora il profumo intenso della terra che l’ha vista per tanti anni felice.

Luigi Fierro

3° classificato

Che cos’è il Cilento per voi? Una zona? Una specie di piccola regione? Il Cilento è molto di più, ve l’assicuro. Lungo le strade, i viottoli quando sento la parola Cilento il mio cuore stenta a battere, le mie orecchie ascoltano quella dolce parola, la mia mente cerca di immaginare un posto più bello del Cilento mentre io non faccio che pronunciare la parola ‘meraviglioso’. Il Cilento è vita, qui la gente la assapora nel miglior modo; il Cilento è unico, noi ci contraddistinguiamo in tutto il mondo per il nostro dialetto, un dialetto armonioso e musicale come un violino accordato che con le sue note dolci fa impazzire e sognare la gente che lo ascolta. La gente del Cilento sa come divertirsi, tutti dovrebbero vedere come si balla e dovrebbero anche sentire la nostra musica, che ci impedisce di stare fermi. E poi non parliamo del paesaggio; i miei occhi s’ illuminano di luce quando mi affaccio alla finestra e vedo il limpido mare di Palinuro. Ancora più incredibile è l’ affetto reciproco tra le persone del Cilento, le persone “mischiano” gioia e ti fanno sentire a tuo agio. Questo lo sa bene la signora Else Mogensen, una donna piena di sentimenti, che ha dedicato la vita a questa terra scorgendo i paesaggi più belli del Cilento e poi scrivendo delle poesie che ti toccano il cuore. Lei ora è diventata un simbolo di questo posto. Ma non è stata l’ unica a scrivere frasi sul Cilento; qui abbiamo ospitato una grande persona come Giuseppe Ungaretti. Lui è stato il capostipite dell’ Ermetismo, ha portato avanti le tematiche di questa corrente ed ha guidato anche gli altri poeti. Ma Giuseppe Ungaretti non è stato soltanto un poeta di grande spessore, ma anche un prosatore. Attraverso articoli, saggi critici, traduzioni abbiamo scoperto che, nella primavera del 1932, Giuseppe Ungaretti è stato nel Cilento scrivendo pagine e pagine su di esso. Lui impiega il suo tempo in scenari poco visibili altrove: Pianura di Paestum, Agropoli, Valle dell’Alento, Elea, Punta Licosa, Monte Stella. In tutto quello che scrive Ungaretti mette in risalto la sua capacità lessicale ma soprattutto, osservando attentamente tutto ciò che lo circonda, descrive alcuni minuziosi particolari che nemmeno un tipico cilentano riesce a vedere: “subito si fanno notare le bufale, che s’avvoltolano nel sudicio per non sentire le mosche, che vanno in giro con quella crosta, sulla quale cresce anche l’ erba, portando le gazze che le prendono per alte zolle”. Dopo aver descritto le bufale della Piana di Paestum, Ungaretti va ad Agropoli accorgendosi immediatamente della Punta, perchè secondo lui senza di essa, Agropoli sarebbe stato un paese qualunque. Dopo aver osservato e descritto questi due gioiellini del Cilento, Ungaretti e i suoi amici vanno a visitare Velia. Velia, o anche Elea, la definisce “una città di fuggiaschi, dove anche il mondo aveva finito col divenire un’assenza”. Lui qui pensa ai grandi filosofi, come Parmenide, che hanno camminato su questa terra. Conclusasi la visita a Velia, Ungaretti si reca a Palinuro dove rimane strabiliato dal paesaggio; qui sottolinea l’ospitalità, l’educazione della gente del Cilento. Ungaretti dopo aver parlato con un po’ di persone del posto, approda a Pisciotta, che secondo lui, è divisa in tre parti: nella zona più alta ci sono le prime abitazioni, le più antiche; in mezzo ci sono gli ulivi tipici della zona e in basso ci sono le nuove abitazioni. Ungaretti continua il suo viaggio visitando Pompei, Ercolano e Napoli; egli dice che a Pompei ed a Ercolano sembra sentire il profumo della sua gente mentre di Napoli scrive delle frasi molto profonde: ”La durezza di vivere mi prende un senso così fresco e eterno, e così naturale e degna mi sembra la condizione di combattere. Oh! Mare…. vasàmolo int’a l’ uocchie!’’ E qui si conclude lo splendido viaggio di Giuseppe Ungaretti. Noi cilentani dovremmo essere fieri di aver avuto come ospiti la signora Else Mogensen e Giuseppe Ungaretti, anche se dobbiamo dire che l’amore della signora Mogensen verso il Cilento è impareggiabile, perché lei a differenza di Ungaretti, è venuta ad abitare qui. Sono due persone diverse ma che mandano lo stesso messaggio. Il loro messaggio è che questa terra è una terra preziosa, originale per le grandi persone che vivono qui e per le bellissime usanze; tutti noi dobbiamo essere fieri di vivere qui e dobbiamo rispettare questa terra. Nel Cilento sono vissuti molti popoli importanti per cui cerchiamo di diventare anche noi un grande “popolo”, in modo tale che tutti conosceranno questa terra, il Cilento, una terra meravigliosa, ma che ora lo è ancora di più.

Federica Chiarelotto

MENZIONE SPECIALE

Cos’è il Cilento? Un sogno? Un’utopia? Per la poetessa Else Mogensen, il Cilento è una realtà con un'identità tutta sua! E’ “Il paese della favola” – come recita una sua poesia – dove i riflessi del sole e i colori a tinte a volte forti a volte tenui generano allegria e favoriscono lo stare insieme, dove sembra che il silenzio “é piacevole, ma la parola é preziosa”. “Quando sorrido al Cilento, il Cilento mi sorride”, è una delle frasi più belle con cui la scrittrice esprime ammirazione verso questo posto dove ha scelto di trascorrere una parte della sua vita. Nata e cresciuta in Danimarca e vissuta in diversi Paesi del mondo, considera il Cilento come se fosse la sua patria, come se lei fosse nata tra questi verdeggianti prati, tra queste onde spumeggianti e tra questa profumata macchia mediterranea. E’ così innamorata di questa terra al punto di paragonare il silenzio che regna nelle valli ad una poesia armonica. Lei è vissuta tra questa gente e in questi luoghi per molti anni, questi posti le ispiravano pace, tranquillità. In una delle sue poesie “Cilento Felix” li paragona ad una sfera che contiene tutto con grande armonia, alla felicità che deve essere una meta per l’essere umano. Noi Cilentani non diamo la giusta importanza alla nostra terra, siamo abituati a vedere il mare come una cosa di tutti i giorni, alcune volte nemmeno ci accorgiamo di averlo a due passi da casa, invece Else lo ammira, nota ogni particolare di esso, guarda le onde infrangersi contro gli scogli, guarda il sole tramontare che in quell'istante sembra immergersi nell’orizzonte, tra l’azzurro intenso del mare. La scrittrice osservava tutti i particolari di questa terra anche se ormai sembrava conoscerli a memoria, ogni giorno passeggiando guardava e riguardava il paesaggio senza mai stancarsi. Si rivedeva in questi luoghi, li sentiva come parte della sua persona. Lei e il Cilento si completano, come gli alberi completano una foresta, come il sole e la luna completano il cielo oppure come i pesci completano il mare: lei è un piccolo tassello che conclude il puzzle, questo puzzle racchiude una magia, che rende questo posto misterioso come l’universo e indimenticabile come un cielo stellato. Else prova un sentimento forte verso il Cilento, come biasimarla? I paesaggi che mozzano il fiato, i tramonti con i mille colori che variano di giorno in giorno, il mare ora agitato, ora calmo che sembra rispecchiare l’animo di una persona, i secolari alberi d’ulivo che fanno battere il cuore, le montagne che sembrano essere sostegni a dimostrazione della fedeltà, ma fedeltà verso chi? Fedeltà verso il Cilentano stesso, fedeltà verso la scrittrice, fedeltà verso l’uomo, perchè anche se noi ci mostriamo infedeli, le nostre montagne continueranno a sostenerci. A questo punto, come possiamo pensare che il Cilento non sia innamorato di noi, in particolar modo di Else? Lei si è unita al Cilento in una sola cosa, ha amato il Cilento con tutta se stessa e lo ha dimostrato parlandone, esprimendo i suoi sentimenti e tutto ciò che provava, nelle tante poesie che ad esso ha dedicato. Andandosene ha lasciato il Cilento solo fisicamente, ma la sua anima, le sue riflessioni, i suoi pensieri, saranno sempre in questi luoghi che fanno invidia al mondo, come lei ci ha dimostrato e continua a dimostrare attraverso i suoi componimenti. Il Cilento è un universo complementare fatto di monti, animali, boschi, borghi, tramonti, mare di cui solo lei è riuscita a cogliere la bellezza, ma soprattutto le peculiarità che rendono il Cilento una terra ospitale e premurosa con i suoi figli e con tutte le persone che lo hanno scelto come luogo dove trascorrere serenamente la propria vita.