Il premio Mogensen-Bruno è instituito dalla Dotoressa Else Mogensen in collaborazione con la famiglia Bruno, perché è importante leggere e conoscere bene quello gli scrittori e le scrittrici del nostro paese hanno scritto e scrivevano perché il loro modo di pensare è anche parte del nostro patrimonio, il loro ambiente è anche il nostro. L'identità di Bruno si formò ad Ascea mentre cresceva qui, e leggendo le sue opere, si riconoscono emozioni comuni e modi di pensare che sono stati distillati da una grande mente.

Francesco Bruno

Francesco Bruno
Nato ad Ascea nel 1899, Francesco Bruno era uno dei più importanti e famosi giornalisti e critici letterari di Novecento. Bruno ha scritto narrative con relazione ad Ascea e Cilento, però sopratutto ha scritto molto sulla cultura meridionale con le radici di Elea/Velia, e lui ha tracciato la nostra cultura dall'antichità via Giambattista Vico e il grande scolaro di lingua e letteratura italiana, Francesco De Sanctis, a Benedetto Croce. Ha scritto di Alfonso Gatto, un poeta favorito da molti cilentani, e sulle opere di molti altri scrittori e personalitè letterari del mezzogiorno.

tirsdag den 25. juni 2013

Il Premio Letterario Mogensen-Bruno, 4^ edizione 2013



Il Premio Letterario ‘Mogensen-Bruno’

ELSE MOGENSEN IN MEMORIAM

4^ edizione 2013



Quest’anno per lo svolgimento dei temi partecipanti alla 4^ edizione del Premio Letterario Mogensen-Bruno per il miglior tema scritto da un alunno della terza classe della scuola media di Ascea gli alunni dovevano commentare in modo libero e personale la poesia in vernacolo ‘Na palummella Ianca’ di Salvatore Di Giacomo, anche ispirandosi all’attività di critico e saggista di Francesco Bruno che su questo autore scrisse un famoso studio critico (Salvatore Di Giacomo, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2001).
Il dottor Francesco Bruno Jr., la professoressa Maria Novi, la dottoressa Leila Rasheed e il dottore René Mogensen hanno valutato i temi. La vincitrice del primo premio è stata Angela D’Angelo, il terzo premio è andato a Marco Elio de Marco e una menzione di merito a Katia Del Prete; la Commissione ha deciso di non assegnare il secondo Premio ai rimanenti elaborati in quanto in essi si è notata purtroppo la mancanza di quello spirito creativo e dell’interesse genuino per la letteratura che dovevano essere i presupposti necessari per l’assegnazione del Premio stesso.

Temi vincitori 2013


Temi vincitori 2013

Angela D’Angelo

1°classificato

L’uomo è il fuoco, la donna è la stoppa: viene il diavolo e soffia”.
Proverbio veritiero, vivo, forte. Espressione del popolo, che rappresenta la vera cultura di una nazione. Molti scrittori si sono interessati a questa folla indistinta: tra questi vi è il siciliano Giovanni Verga, il quale cita questo proverbio nel suo capolavoro “I Malavoglia” per bocca del capofamiglia Toscani.
Il popolo, il popolo. Tanto caro all’arte, ispiratore di nobili menti, di celebri mani “scrittrici” di una realtà forte ed indissolubile, fedele nei secoli ad un proprio patrimonio culturale.
Cos’è che rende il popolo oggetto di tanto interesse, di tanta ammirazione da parte di coloro che osservano e riportano quanto visto? Io, leggendo alcune opere di diversi autori, ho potuto constatare che la primordiale attrattiva del popolo è la passione, la quale brucia, divampa; è una mano capace di “smascherare” tutte le finzioni dell’anima e di mostrare la vera essenza di noi esseri umani.
Tra gli scrittori italiani che più si sono fatti portavoce del loro popolo vi è il napoletano Salvatore Di Giacomo, espressione veritiera e schietta della folla partenopea.
Il Di Giacomo, poeta, novelliere, scrittore di teatro nonché saggista, nelle sue opere ha saputo combinare in modo originale l’eleganza e la quotidianità del dialetto napoletano; con la musicalità e l’infinita dolcezza dei suoi versi sorprende e tocca nel profondo il lettore perché riesce a mostrare, con il suo vernacolo, la vera realtà della vita popolare, evocandone i suoni, i colori, gli odori.
Napoli appare quanto mai viva nelle strofe del Di Giacomo: è una città in cui si vive una vita di sopravvivenza, dominata dalla passione, il cui più elevato mezzo di espressione è l’amore.
L’amore che ritorna nei versi digiacomiani come il vero motivo della loro stessa esistenza: la poesia “Na palummella ianca”, infatti, è il pianto segreto, triste e malinconico del poeta, il quale invoca l’amore, che sembra avergli “voltato le spalle”. In questa poesia il poeta non ama Carulina in quanto donna: prova un senso di venerazione per l’amore in sé, visto come qualcosa di sublime, di platonico, non semplicemente come richiamo dei sensi, di attrazione fisica.
Il confine tra il metafisico ed il reale è quanto mai sottile: il poeta, infatti, sceglie come testimone del suo amore non corrisposto una tenera colomba, il simbolo della pace.
Non mi sorprende che l’autore abbia scelto come “confidente” proprio la tenera “palummella”, che sembra lenire le sue sofferenze con l’aggraziata figura: guardando gli occhi acuti ed intelligenti della colomba, il poeta stabilisce un contatto etereo con Carulina, conosce le azioni della ragazza grazie ad una “voce” amica, immaginaria ma attesa con febbrile emozione.
Per il poeta è straziante amare Carulina e non essere da lei amato: il paradosso è che nonostante lui abbia cercato di dimenticarla, il suo cuore ha prevalso ed ancora prevale sulla ragione, il sentimento trionfa sul raziocinio, riportando una vittoria agognata ma al contempo non voluta.
È duro e lacerante attendere per dodici lunghi mesi una risposta ai bisogni del proprio cuore: vi è un’incertezza da parte della ragazza che strazia, seppur inconsapevolmente, fisicamente e psicologicamente il poeta. Il quale, a rigor di logica, maledice il giorno in cui il suo corpo venne pervaso dalla freccia scoccata dal figlio di Afrodite; la disperazione quasi lo spinge a pensare che molto probabilmente Carulina lo rimpiangerà soltanto quando sarà morto, ritornando alla terra che lo ha generato.
Le strofe della poesia sono intervallate da due versi molto dolci e musicali, che rispecchiano fedelmente la già descritta condizione del poeta.
Goethe, nel suo romanzo “Le affinità elettive”, scrisse: “L’amore è fatto così, da credere di avere esso solo dei diritti e che tutti gli altri spariscano dinanzi a lui”.
È infatti l’amore che fa muovere il mondo: ho più volte immaginato come sarebbe il nostro pianeta privo di uno degli affetti più nobili che esistano. Sarebbe … semplicemente orribile: noi esseri umani siamo emozioni, nient’altro che emozioni. Siamo stati generati con la facoltà di amare e godiamo del privilegio di essere amati: l’amore è la cornucopia da cui attingiamo per il nostro sostentamento, il “diavolo” e la stessa fiamma che si sprigiona tra il “fuoco” e la “stoppa”; grazie a questa “combustione” il calore e la luce emanati illuminano, confortano e riscaldano tutti gli esseri viventi.
Esemplare e degna di lode è tutta l’opera del Di Giacomo: come ha scritto il nostrano critico e saggista Francesco Bruno nel suo saggio critico sull’autore partenopeo, il Di Giacomo prende in esame le vicende della Napoli post-Borbonica, trasmettendo l’immagine “di una città attraversata da una profonda crisi e sconvolta da un improvviso smarrimento”.
Il Di Giacomo, quindi, è testimone e portavoce di quella vita che si svolge lì, in quei quartieri tappezzati dai panni stinti stesi al sole ad asciugare, con il rumore del tempo che passa di giorno e, di notte, il suono di una dolce serenata al chiaro di luna, un delicato arpeggio di chitarra rivolto … ad un cuore.



Marco Elio De Marco

3°classificato

Il giorno che venni a sapere del concorso sul commento della poesia di Salvatore Di Giacomo intitolata “Na Palummella Ianca”, subito mi venne in mente di chiedere aiuto alla mia maestra delle elementari “Anna Palladino” che ha un rapporto di parentela con il critico cilentano Francesco Bruno.
L’amore, è il sentimento più ricorrente nelle liriche di Salvatore di Giacomo e in “Palummella Ianca” è un amore struggente e sofferto raccontato dall’autore. Un amore non corrisposto che attende con impazienza il giorno in cui possa essere ricambiato.
La donna amata da Di Giacomo è una certa Carolina che da un anno ormai, gioca con i sentimenti dell’amante che si strugge di dolore per non essere stato ancora corrisposto. Unica grande certezza del protagonista è quella farfalla bianca che vede ogni mattina, topos letterario quello dell’uccello usato da Pascoli e Leopardi che rappresenta per il poeta la speranza di una risposta, un’amica a cui confidare le proprie angosce.
Simbolo della fiducia che l’innamorato ripone quotidianamente nel giorno nascente carico di notizie tanto attese. “Ti voglio bene assai ma tu non pensi a me … ” il ritornello dettato dal cuore , spasimante d’amore … La consapevolezza dolorosa di non essere ricambiato e soprattutto di non essere altrettanto importante per la propria amata … La sofferenza di cui il poeta è consapevole dell’ impossibilità di potersene liberare. Liberarsi da quel sentimento che sta provocando tanto dolore è impossibile! La ragione direbbe “basta, dimenticala! ” Ma il cuore non ascolta un simile lamento … Il cuore dell’ innamorato maledice il giorno in cui abbia avuto inizio questa storia perché è cosciente del fatto che sta soffrendo, ma sa anche che non può liberarsi da quel sentimento. Non è possibile! La stanchezza di vivere queste struggenti emozioni non basta all’innamorato per privarsi di quel sentimento tanto dolce e caro quanto doloroso e distruttivo.
Una farfalla bianca, morbida come la mano di un bimbo è in questo mare naufragata. E’ la voce di un bimbo che grida “Spera!” E’ la voce del cuore che detta “abbi fiducia, non arrenderti!”. Ma come una farfalla bianca, è una speranza debole e fragile!!



Katia Del Prete

Classificato ‘Menzione di merito’

Te voglio bene assaie, e tu nun pienze a me!
Lo scenario spesso fiabesco è uno dei tratti di realtà di cui il poeta Salvatore di Giacomo si serve per sostare sulla fedeltà delle cose. Lo stesso dialetto usato, di una dolcezza e raffinatezza senza eguali, regala effetti di colore mescolati alla musicalità più aurea.
A Marechiaro nce sta na fenesta … era l’anno 1885 quando il grande poeta scriveva in alcuni suoi versi di una finestrella a picco sul mare, adornata di un vaso di garofani … dietro quella finestra, nella sua stanza, dorme Carolina, un innamorato la invoca con una appassionata serenata, mentre nelle onde del mare sottostante i pesci amoreggiano al chiaro di luna e sotto le stelle. Di Giacomo ama la dolcezza del chiaroscuro, il ricordo perduto nell’inseguimento mite e fragile alla donna, così come fa nei versi di Na palummella janca: la sua mente, non appena sveglio, rivolge il pensiero alla donna amata, di un amore, però non corrisposto e quindi vissuto soltanto nel profondo del suo cuore. Al pensiero di lasciarla viene fuori la sua fragilità e la sua debolezza, nonché il suo schietto tormento di uomo romantico che si lascia trascinare e conquistare dall’amore non corrisposto. Di lui, infatti, Benedetto Croce disse: “Uno dei rari poeti schietti dei tempi nostri (…) temperamento amoroso, malinconico, triste ed anche passionale, amaro e tragico”.
La consapevolezza di un amore non ricambiato e di conseguenza di un sentimento che dà più amarezza che gioia, fa venir fuori la sua dipendenza dal cuore, dalle emozioni, dal desiderio naturale di amare ed essere amato, per cui alla fine non gli rimane che riconoscersi lucido nel comprendere il nonsenso del rapporto, e pur tuttavia “folle” nel sottomettersi all’arrogante passionalità del cuore.
È proprio nella poesia che la sua forza si libera, inducendo il lettore alle più svariate riflessioni, così come ha saputo fare appunto in Na palummella janca. Le storie di amore nascono, vivono e si nutrono di puro sentimento, sentimento che profuma di bellezza, gioia, esuberanza per chi si affaccia, come me, a solcare i passi della vita. È troppo affascinante l’amore per potergli resistere, ma è triste rendersi conto che anch’esso ha due facce e quando ci si ritrova a vederne il lato oscuro non si ha la forza, tante volte, di rinunciare a rincorrere la felicità. E come ci insegna il grande Francesco Bruno, critico letterario, narratore e poeta tra i maggiori più noti del 900, bisogna saper vivere liberi, mai sottomessi ai giochi di potere, mai passivi nell’accettare allettanti proposte da parte di chicchessia, con quella attenzione particolare invece incentrata sulla contrapposizione tra BENE e MALE. La felicità è veramente tale soltanto quando si vive un amore trasparente, che ti fa sentire libera e serena, nella consapevolezza che mente e cuore battono meravigliosamente all’unisono. Ma … non è difficile, purtroppo, che ci si possa innamorare di qualcuno che non ne voglia sapere nulla di noi. Ed è proprio in questo caso che l’innamoramento mostra con prepotenza anche l’altra sua faccia, rivelandosi fonte di indicibile sofferenza che contribuisce a distruggere ogni forma di speranza. Spesso si finisce con il pensare e credere che nella vita non ci sarà mai nessuno che si accorgerà di noi. E come recita una canzone di Venditti … “Ci vorrebbe un amico”.
Sì, nei momenti più difficili e bui è necessario ancorarsi a tanti bei valori quali la famiglia, l’amore dei genitori sempre pronti ad asciugare le lacrime, la complicità degli amici, con cui coltivare ideali o condividere idee. Ma anche sapersi aprire alla generosità e alla solidarietà verso gli altri, per non perdere mai di vista che, tutto sommato, l’adolescenza bisogna saperla vivere spensieratamente e con un po’ di leggerezza, godendosi tante cose belle che la vita offre; anche se di tanto in tanto, comunque, meglio una delusione che non mettersi affatto in gioco. Insomma bisognerebbe avere la freschezza della nostra età e l’esperienza dei grandi per lasciar cadere le situazioni impossibili e volare verso quelli che saranno gli orizzonti stupendi della vita. E quando l’amore diventa poesia mi verrebbe da scrivere così:
Na palummella janca me sceta ogni matina,
dicenneme: tu ‘o ssaje, te voglio bene assaje.